Primedonne social: baruffa
su Michelle e le figlie ganze

Trattandosi di donne, giornaliste per di più, non poteva finire baci e abbracci. E infatti è intervenuta anche la corrispondente di guerra, l’aristocrazia del genere. A gamba tesa nella querelle delle vacanze milanesi di Michelle Obama e le due figlie, Malia e Sasha.

Mimosa (Martini, «Tg5») ha difeso Maria Laura (Rodotà, «Corriere della Sera»), che era stata canzonata da Selvaggia (Lucarelli, «Il Fatto»). «Le ganzissime ragazze di Obama dal fisico perfetto», aveva scritto Rodotà, «mostrano come essere eleganti, affascinanti e chic e come tutto non sia un problema di pigmentazione». Sebbene «i vestiti di lady Obama telegrafano un’idea di femminilità Anni ’50, le sue sono scelte poco assertive se vuole trasmettere un messaggio di empowerment. In ogni caso, il trio è di grande effetto. Sono colorate, fisicamente perfette. Tanto da rischiare di scoraggiare le donne che vorrebbero ispirare. Messe davanti a standard così alti potrebbero consolarsi con pizza e patatine e quel cibo spazzatura contro cui Michelle combatte».

Alla verve di Selvaggia Lucarelli sarebbe bastato molto meno. «A parte che sembra di leggere il referto di un dermatologo, qui l’idea rivoluzionaria di fondo è che grazie alle ragazze di casa Obama finalmente ora tutti sappiamo che anche le donne di colore possono essere belle». Prosegue spedita, Lucarelli. «Michelle fa bicipiti e tricipiti perché a lei dell’America, dell’obesità, del terrorismo, del razzismo, dei Repubblicani e della disoccupazione non frega una beata cippa. A lei non frega neanche nulla di Obama, se potesse scapperebbe con un carpentiere dell’Illinois, altro che farsi due palle così con Agnese Renzi all’Expo. Lei fa la First lady solo e unicamente per far rosicare tutte quelle con le braccia pendule». Concetti sottoscrivibili? Linguaggio meno. Sembrerebbe pensarlo anche Mimosa Martini, che invece interviene (su Facebook) in maniera inaspettata.

«Cara Lucarelli, il pezzo di Maria Laura Rodotà non era certo dei suoi migliori, ma tu non ti puoi davvero permettere di attaccarla così. È fin troppo evidente che non hai altre armi che ironizzare sulle colleghe in mancanza totale di idee e ti sei data la zappa sul tacco 12 da sola. Sei quello che sei, ci dobbiamo rassegnare, lo hai dimostrato in questa tua azzannata da cafoncella. Cara Maria Laura, che dobbiamo fare: queste giovani colleghe diventate giornaliste attraverso percorsi svariati non hanno avuto maestri, non hanno dovuto imparare e faticare. Usano il linguaggio che possiedono (…) e il futuro, se lo immaginano, lo vedono unicamente in una carta di credito».

Semplice questione di linguaggio, dunque? Purtroppo no. «Ganzissime». «pigmentazione», «due palle», «frega una cippa», «carpentieri dell’Illinois», «azzannata», «cafoncella», «tacco 12», «colleghe dai percorsi svariati», «carte di credito». Parole e cose sono sempre legate. E se questo è il lessico della differenza, con cui l’intellighenzia mediatica affronta uno dei personaggi più densi del nostro tempo, rovesciandolo in una baruffa fra primedonne di potere, sarà dura illuminare l’evoluzione dei ruoli sociali.

E ancor più favorirla costruzione di nuove metafore nell’orizzonte della parità. Rischiando per giunta di sacrificare anni di lotte e conquiste femminili sull’altare del minimalismo. Linguistico ma non solo.

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