Stefano Minossi, il primo bergamasco a provare la «dolce passione» del volo

Il personaggio Gestore di un negozio in Borgo Santa Caterina dove riparava biciclette, nel 1898 era già al volante di un’automobile. Autista del conte Gianforte Suardi, costruì da sé un biplano e nell’aprile del 1911 si alzò da terra.

Gestore di un negozio in Borgo Santa Caterina, a Bergamo, dove ripara un po’ di tutto, comprese biciclette e automobili, Stefano Minossi era nato nel giugno del 1881 . Inizialmente ciclista, passa poi al motociclismo, sport in cui diventa campione italiano nel 1907 , senza mai curarsi dei non pochi infortuni subiti. È autista di automobili fin dal 1898, tanto da diventare – dal 1903 al 1906 – meccanico e motorista di Esperia . Autista del conte Gianforte Suardi , deputato e senatore, si era messo in testa, niente meno, di costruire un aeroplano, la novità delle novità del momento, la sfida delle sfide.

La sua idea era quella di partire da un biplano Wright – quello dei famosi fratelli per capirci, da lui conosciuti a Roma nel 1909 e che gli avevano concesso l’uso di uno dei loro motori – ma modificando il velivolo in ogni sua parte . «A questo apparecchio, infatti, il costruttore bergamasco ha ridotto il peso e le dimensioni di ingombro del 60 per cento , ha portato le eliche da due a una, ha eliminato la schiavità [ sic ] del pilone e dei binari di lancio, ha sostituito le ruote ai pattini, ha applicato un … potente motore Anzani 25 hp» (scrive Alfonso Vajana in «Uomini di Bergamo», Edizioni Orobiche, 1954), tanto da meritarsi il Gran Premio all’esposizione internazionale di aeronautica tenutasi all’«Adriano» di Roma.

L’aereo del Minossi poteva decollare dopo una breve rincorsa, mentre l’apparecchio dei Wright per sollevarsi doveva esser trainato e «lanciato»

Medaglia meritatissima, ottenuta dopo ben due anni di lavoro e 20 mila lire di investimento, cifra raccattata chissà dove: l’aereo del Minossi, infatti, poteva decollare anche dopo una breve rincorsa, mentre l’apparecchio dei Wright per sollevarsi doveva esser trainato e «lanciato».

Tutto questo in teoria, perché un vero e proprio «battesimo del volo» ancora non c’era stato. E con gli aeroplani non c’è astrazione che tenga: devi provare a sollevarti da terra e sperare che Dio te la mandi buona.

A fine novembre 1910 Minossi mette in pista il suo biplano: è il momento della verità . Ecco che ne scrive «L’Eco»: «L’esperimento procedeva benissimo, tanto bene che, quasi a metà campo, il biplano si era di nuovo leggermente sollevato. Gli amici, entusiasmati, incominciavano già a gridar vittoria, quando, sfortunatamente, Minossi non scorse a tempo il terrapieno che s’allinea sul margine destro del campo ed andò ad urtarvi contro, proprio all’imbocco, con l’estremità superiore del pattino sinistro. All’urto violento l’apparecchio oscillò e, per un momento, parve cadere. Con un movimento di gochisment , però, Minossi riuscì a fargli riguadagnare l’equilibrio e, contemporaneamente, tentò di virare verso la parte opposta. La mossa abile del pilota era riuscita egregiamente ed il biplano stava riprendendo la sua andatura regolare, quando lo stesso pattino urtò nuovamente contro il terreno. Disgraziatamente, proprio in quello stesso istante, data la vicinanza dell’hangar, era stato spento anche il motore e così la scossa fu doppiamente violenta: l’apparecchio si agitò, tentennò leggermente, poi si rovesciò sul fianco destro, oscillando dolorosamente sulla ruota destra del carrello, mentre l’altra ruota si rattrappiva sospesa all’apparecchio, come la gamba d’un uccello che si metta a riposo. Per l’urto il meccanico Minossi è stato sbalzato fuori dal seggiolino in avanti, ma fortunatamente senza farsi male».

Gli amici, entusiasmati, incominciavano già a gridar vittoria

Il pilota è sconvolto più per l’aereo che per le contusioni diffuse . Grande spirito, certo, ma biplano da rimettere assieme. E qui succede il «miracolo»: una sottoscrizione cittadina consegna un bel gruzzolo al Minossi che può così ricostruire il suo gioiello .

L’aerodromo di Osio Sotto

Nell’aprile del 1911 i migliori assi dell’aviazione si danno appuntamento al nuovissimo aeroporto di Osio Sotto. Minossi non può certo lasciarsi scappare l’occasione per tentare nuovamente il volo. Ecco come racconta «L’Eco» l’impresa: « Finalmente sono riuscito a volare!” Stefano Minossi, che oggi ci dava la lieta novella, appariva raggiante, trionfante . “Era già da due o tre giorni – ci spiegava poi – che andava facendo degli esperimenti di rollage , ma non mi era mai azzardato ad alzarmi. Temeva la caduta. Ancora stamane, quando, poco dopo le 7, trassi dall’hangar il mio biplano, non aveva ancora alcun pensiero di volare. Voleva impratichirmi prima un po’ più dell’apparecchio; voleva saperlo maneggiare senza perdere la testa (…). Fu così che stamane mi sono trovato a volare senza averlo voluto, improvvisamente, inaspettatamente. Si figuri la mia agitazione! Salito sul seggiolino, aveva messo in moto l’elica: la macchina scappò pel campo ad una velocità straordinaria, a non meno di 78-80 chilometri all’ora. Io stavo intento a dirigerla, quando, dopo una quarantina di metri, là dove il suolo appare ondulato, la macchina si alzò improvvisamente ad un’altezza di circa due metri».

Ed eccoci al 25 aprile 1911, stavolta dalla cronaca del «Giornale di Bergamo»: «Mentre il nostro giornale usciva, ancora jeri Minossi riesciva a lanciare il biplano di sua ideazione nel cielo: per ben due volte! E raggiungendo nel secondo volo i venti metri di altezza. Ci piace in sommo grado che l’aviatore bergamasco vada sempre più e sempre meglio affermandosi nel campo dell’aviazione. Egli che ha tanto lavorato per la sua idea! Egli – anche – che ha tanto speso e tanto sofferto e tanto sperato vede, in fine, oggi realizzato il suo bel sogno audace. Bravo Minossi!». Il quale pilota sintetizza così quel giorno memorabile: «Sono lieto di avere dimostrato ai miei concittadini che la mia non era un’utopia». Chiosa a perfezione il quotidiano: «Oggi l’utopia non è più né meno di Stefano Minossi che sulla brughiera di Osio ha volato… Egli è l’ultimo degli eroi: è l’ultimo “romantico” dell’aviazione; egli è – si può dire – un anacronismo. Invece di comperarsi un apparecchio se lo fabbrica; invece di seguire gli altri nelle idee che già hanno trionfato crea un nuovo tipo di aeroplano e se lo guida senza aver prima, alla scuola, studiata la manovra… Minossi annulla, in sua mente, dieci anni di aviazione ed inizia per sé, per la sua idea uno studio accanito, febbrile, paziente, tutto personale per portare alla vittoria il suo aeroplano. Non è più uno sportman alla ricerca di emozioni; non è più l’uomo ardito che tenta, nelle vie dell’aria, la fortuna che in terra non gli ha arriso; Minossi è un apostolo dell’aviazione; è un coraggioso, è un ardito, è un uomo di una tempra mirabile ed invidiabile che ha ben diritto oggi di piangere e più e meglio ha diritto che noi fragorosamente lo si applauda».

Il pericoloso incidente

Il successo reca in dote al Minossi un paio di ordini di velivoli, ma il rischio è sempre in agguato . Dopo molteplici prove perfettamente riuscite, anche con ospiti a bordo, nel luglio di quel glorioso 1911 il nostro pilota se la vede brutta: «Alle 19.45 Minossi si preparò a partire per un quinto volo: deciso a virare in aria. L’apparecchio salì presto a venti, a venticinque metri, a trenta metri. Il biplano era giunto sulla linea della cabina destinata, in altri tempi, alla giuria dei voli. Ad un tratto l’aviatore (sono sue parole queste) sentì sferzarsi il viso da un colpo secco, improvviso, indi il colpo ripercuotersi nel serbatoio della benzina. Che era avvenuto? Nel viraggio, abbisognando sforzare l’apparecchio perché l’elica non rendeva a sufficienza, due fili di acciaio dell’ala sinistra si erano spezzati… L’aviatore rimase perplesso un attimo: come si riebbe, sentendo che il serbatoio della benzina perdeva e temendo l’incendio, fermò il motore e tentò di calare, ma l’ala sinistra si era indebolita ed il biplano precipitava. Fu un movimento di spavento per coloro che si trovavano presenti all’incidente: l’apparecchio fracassato è caduto a terra vertiginosamente, premeva sul corpo del pilota!» («Giornale di Bergamo», 27 luglio 1911). Per estrarre Minossi dall’aereo fu necessario smontare il biplano pezzo a pezzo. L’ardimentoso era piuttosto malconcio, per fortuna il velivolo non aveva preso fuoco come era capitato due mesi prima a Ciro Cirri, il primo a volare su Bergamo Alta.

Commenta il Vajana: « Era una trappola il suo apparecchio? Tanto meglio. Se si cimentò su quell’arnese, rese un più alto servizio al progresso dell’aviazione: insegnò ad avere fiducia prima del tempo ». Vengono in mente le parole di D’Annunzio al raduno aviatorio di Montichiari nel 1909. Alla presenza di Toscanini, Marconi, Kafka e chissà quante altre celebrità, il vate coglieva perfettamente il nocciolo dell’aviazione: «Il momento in cui si lascia la terra è di una dolcezza infinita. È un nuovo bisogno, una nuova passione».

Già, ma che ne è stato nel Minossi? Qualcosa ce lo racconta Luigi Pelandi («Attraverso le vie di Bergamo scomparsa», Bolis 1966): «Nel 1919 ottenne il brevetto per un tipo di motore a scoppio a due tempi. E sappiamo che ancora oggi, passata l’ottantina, compie la sua giornata in un lavoro pressoché continuo su una specialità tecnica: i cuscinetti a sfere!». Ma c’è di più: a dar retta alla cronaca cittadina, il Minossi volava ancora alla veneranda età di 83 anni. Si spegnerà cinque anni dopo, nel maggio del 1969. « Lo spirito inquieto, tormentato, assillato dai problemi della velocità per le vie del mondo o per quelle del cielo, naviga ora nelle altezze che nessun astronauta può raggiungere e che mai raggiungerà : il pioniere dell’aviazione italiana è deceduto, dopo due soli giorni di degenza, fra le braccia della sua adorata consorte e nella sua casa di via Costantino Beltrami, aperta di fronte ai colli ed ai monti che fanno corona alla città» («L’Eco di Bergamo», 18 maggio 1969).

Che destino, quello di Minossi: fece a tempo ad assistere all’impresa di Gagarin, chissà in cuor suo l’emozione per quell’esordio spaziale; ma per poche settimane mancò l’appuntamento con la passeggiata sulla Luna di Neil Armstrong.

Il testo è tratto dal blog claudiocalzana.it , che si occupa di letteratura e di storia bergamasca: dove può essere letto per intero

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