Far Cry Primal, la preistoria secondo Ubisoft

Il nuovo open world firmato Ubisoft offre un’esperienza preistorica affascinante, ma non supportata adeguatamente da campagna e narrativa. l solido gameplay della serie si conferma ancora molto divertente, con il valore aggiunto della domatura delle bestie.

Piattaforma: PlayStation 4 e Xbox One – PC (1 marzo 2016)
Genere: Action-Adventure
Sviluppatore: Ubisoft Montreal
Produttore/Distributore: Ubisoft
PEGI: 18

Per la prima volta nella storia della serie Far Cry, Ubisoft abbandona fucili, kalashnikov, bombe ed esplosioni a profusione per dare in mano al giocatore arco, frecce e clava. Far Cry Primal, nuovo capitolo della popolare saga, è infatti ambientato nel 10.000 a.C, nel cuore dell’età pietra, periodo durante il quale l’uomo era abituato a lottare ogni giorno per la sopravvivenza. In Far Cry Primal si vestono i panni di Takkar, esperto cacciatore della tribù dei Wenja che cercherà, anche grazie alle sue abilità di domatore di bestie, di liberare i suoi compagni dal dominio delle altre due tribù rivali nella terra di Oros: gli Udam, aggressivi e cannibali, e gli Izila, il clan più avanzato e pericoloso. All’interno di questo contesto “geopolitico” il popolo del protagonista è il più debole e meno abile, ma grazie alla guida del capace Takkar lo status quo è destinato a cambiare ben presto.

A dare una mano al protagonista ci pensano alcuni compagni Wenja, ognuno dei quali ricopre un ruolo estremamente importante nelle dinamiche belliche e sociali della tribù, ad esempio, il guerriero, lo sciamano e la cacciatrice. A questi personaggi sono inoltre legate le missioni principali e lo sviluppo narrativo del gioco. A differenza di altri plot videoludici focalizzati sulla figura dei compari (Mass Effect 2 e Dragon Age di BioWare hanno fatto scuola, in tal senso) le quest non vanno ad approfondire il background dei personaggi o a tessere relazioni amicali o amorose, limitandosi a dialoghi unicamente funzionali alla missione da svolgere.

A ciò si aggiunge una sceneggiatura generale debole, dove il protagonista è chiamato semplicemente a mettere fuori combattimento le due tribù avversarie eliminando i suoi due leader, con una scrittura basica, senza colpi di scena o sottotrame degne di nota. Il contesto storico, inoltre, non viene sfruttato a dovere, perlomeno ai fini della storia, ad eccezione di qualche visione mistica e la comunque ottima ricostruzione del setting primitivo (ma Ubisoft ormai ci ha abituati ormai troppo bene alla cura storica delle sue “rievocazioni”).

Il cambio ambientale ha avuto sensibili ricadute sul gameplay senza però privarlo di alcuni dei punti di forza visti nei precedenti capitoli, come il crafting e la caccia. Il giocatore può muoversi fra gli anfratti della pericolosa terra di Oros per cacciare animali dalla cui carcassa recupera pelle per creare oggetti e carne per cibarsi e curarsi. Anche il sottobosco offre una discreta varietà di erbe e foglie utili per il crafting. Le possibilità creative del giocatore non sono ampie e complesse come altri titoli, ma offrono tutto sommato un buon ventaglio di opzioni: quindi il buon Takkar può costruirsi e migliorare arco, frecce, lancia, clava, strane bombe primitive composte da un nido d’api, trappole e altri oggetti e armi, tutti ovviamente in chiave primitiva e non senza qualche “licenza poetica”.

Oltre alla caccia e alla campagna principale, il mondo di Oros offre una buona quantità di missioni secondarie. Purtroppo però è quasi sempre la solita solfa: il giocatore deve liberare dei compagni Wenja prigionieri di una delle due tribù rivali, seguire le tracce di qualche animale o attaccare un avamposto Udam o Izila. La liberazione dei compagni di tribù non è fine a sé stessa, ma ognuno di loro andrà a incrementare la popolazione del villaggio. La crescita demografica permetterà al giocatore di ricevere più scorte di cibo e oggetti quotidianamente.

A dare una spinta alla struttura ludica di Far Cry Primal ci pensano gli animali. Il pezzo forte è infatti rappresentato dalla possibilità di domare le bestie feroci e piegarle al proprio volerle. Sbloccando determinate abilità è possibile addomesticare lupi, tigri dai denti a sciabola, orsi, giaguari, tassi – tutti con caratteristiche differenti – e chiedere loro di eliminare un nemico o spostarsi in un determinato punto. Riuscire a catturare una fiera non è complicatissimo ed è sufficiente distrarla con un’esca e schiacciare un tasto a schermo una volta avvicinatisi. E per tutte vale lo stesso discorso. Visto che i predatori da domare non sono in gran numero, sarebbe stato decisamente più interessante rendere la conquista del bestione di turno più complessa e difficile, magari con qualche variante significativa fra la domatura di un orso bruno e quella di un tasso. Alcune bestie, come orsi e tigri, potranno anche essere cavalcate, così come i giovani mammut.

Considerato che nella preistoria non esistevano visori notturni e binocoli, la componente strategica del gioco è legata a doppio filo al controllo di un altro animale: il gufo. Takkar può infatti chiamare in proprio soccorso il volatile, che si controlla in prima persona per sorvolare l’area, marcare i nemici (e anche attaccarli). Una soluzione che ci è piaciuta molto consentendo al giocatore una chiave di lettura alternativa all’approccio in battaglia.

Come da tradizione, una volta sul campo di battaglia ci sono due possibilità: l’azione stealth o quella più becera e sfrenata, resa in questo capitolo più facile dalla possibilità di agire in compagnia di una fortissima tigre dai denti a sciabola o in sella ad un possente mammut. Gli animali semplificano di molto i combattimenti, ma nelle missioni più difficili sarà comunque necessario agire con cautela e sfruttando con intelligenza tutte le armi a disposizione come, appunto, il gufo di cui sopra.

Oltre che alle quest principali, i compagni sono legati anche al sistema di crescita di Takkar, previo l’accumulo di punti esperienza. Ogni compagno – date le sue caratteristiche uniche – conferisce al protagonista nuove abilità. Queste sono suddivise in: sopravvivenza, combattimento, caccia, creazione di trappole o coltelli da lancio, e le skill di controllo delle bestie. Niente di trascendentale e, anche se lo sviluppo è lineare e guidato, la quantità di potenziamenti presenti è buona e permette un’evoluzione del personaggio più che soddisfacente.

Pur senza impressione come fece nel 2012 Far Cry 3, il Dunia Engine 2 si dimostra un motore grafico ancora molto in salute e capace di portare su schermo scenari ricchi di fascino. La direzione artistica non ci è sembrata di quelle più ispirate, ma l’impatto estetico generale è di buon livello, così come caratterizzazione e modellazione poligonale dei personaggi principali. Molto interessante ed efficace la soluzione linguistica adottata dagli sviluppatori per il doppiaggio. I personaggi di Far Cry Primal – sottotitolati in italiano – non parlano inglese, come accade nella maggior parte delle produzioni, ma in una lingua artificiale basata sugli idiomi proto-indoeuropei, da cui poi sono nate le forme di comunicazione moderne.

Far Cry Primal ha dalla sua un contesto storico fascinoso e ancora avvolto da un intrinseco mistero, oltretutto ottimamente ricostruito dai ragazzi di Ubisoft. Di contraltare il nuovo arrivato della software house transalpina offre una campagna principale piatta, raccontata superficialmente e senza mordente, affiancata inoltre da una pletora di missioni secondarie monocorde e poco stimolanti. Il solido gameplay della serie si conferma ancora molto divertente, con il valore aggiunto della domatura delle bestie.

© RIPRODUZIONE RISERVATA