Il creatore di Pac-man
svela i suoi segreti - Video

Come realizzare buoni videogiochi. Un titolo impegnativo per una conferenza, ma certo non per Toru Iwatani, il creatore di Pac-man, un videogame noto a livello planetario che da 35 anni fa giocare grandi e bambini. Iwatani è stato l’ospite d’onore della Games Week a Milano, manifestazione dedicata al mondo dei videogiochi che termina oggi, domenica 25 ottobre.

Iwatani è nato nel 1955 e ha creato Pacman nel 1980. Nel corso della sua carriera sotto la bandiera di Namco ha prodotto 50 videogiochi, dal 2007 si occupa delle nuove generazioni di Game designer, infatti insegna al politecnico di Tokyo nel dipartimento di gioco della facoltà d’arte.

Il professor Iwatani davanti ad una attenta platea di giornalisti e appassionati ha spiegato che i videogiochi uniscono scienza e arte, sono una sintesi di un lungo elenco di ingredienti: ingegneria, computer tech, matematica, programmazione, suono, psicologia, letteratura e scrittura creativa, visual design, e anche una forma di sviluppo di interessi personali e collettivi.

«Se nella creazione di un videogame ci sono tutti questi elementi - ha affermato Iwatani - possiamo immaginare che un videogioco sia lo studio del cuore dell’uomo. Al di là del videogame, nessun altra attività così articolata. Il videogame è la creazione di un mondo». Per chiarire questa affermazione Iwatani ha raccontato il concetto alla base della nascita di Pacman partendo dalla proiezione di un brano del classico videogioco.

«Volevo portare le ragazze e le famiglie nelle sale giochi - ha sostenuto - in quegli anni in casa non c’era possibilità di giocare e le sale giochi erano dei luoghi per ragazzi. Erano sale buie e introversi, poco accoglienti e non certo profumate. Fare entrare una donna avrebbe cambiato il tenore dell’ambiente. Ho pensato parecchio a come fare. Cosa potrebbe interessare una ragazza: la moda oppure fantasie d’amore. Ma queste due cose non possono diventare giochi, come faccio a tradurle in un videogame? A quei tempi uscivo con mia ragazza e dopo cena abbiamo preso il dolce. Allora li ho pensato: se uso qualcosa legato al cibo, forse può interessarle. Alle donne infatti non interessano i combattimenti. Così pensavo al cibo, e alla possibilità di creare qualcosa in tema. A mezzogiorno mi è capitato di mangiare una pizza. Ho preso una fetta, ed ecco davanti a me la forma di Pacman!». Iwatani a sorpresa si è alzato e ha accennato ad un inchino tra gli applausi del pubblico.

«Sono molto grato all’Italia per aver creato la pizza - ha aggiunto sorridendo - perché così mi ha dato modo di creare Pacman». Iwatani ha continuato facendo un confronto con i giochi di oggi: «Pacman è un’idea che si capisce subito, immediata. Oggi i videogiochi sono un po’ complicati. È importante far capire subito come si gioca. Un bambino capisce subito come funziona Pacman, non c’è bisogno di traduzione e questo è la chiave del suo successo dopo 35 anni. Inoltre i fantasmi non mettono paura, sono graziosi e quindi anche le ragazze sono attirate dal gioco. Il mio motto è: regole semplici. Il joystick ha solo 4 movimenti. Se mettevo anche 4 bottoni Pacman non durava certo 35 anni».

Il docente giapponese ha proseguito illustrando i «meccanismi» del gioco, ossia gli algoritmi che regolano la caccia a Pacman. Un inseguimento che viene vivacizzato dal fatto che ogni fantasmino è programmato per avere un comportamento differente in modo da accentuare la suspence della caccia al Pacman. E questo ci porta alla regola aurea nella creazione di un videogioco secondo Iwatani: divertimento prima di tutto.

«Il creatore di un videogioco - ha affermato - non è come un pittore che può dipingere ciò che gli piace, se vogliamo pensare ad una produzione di massa, rivolta ad un grande pubblico dobbiamo mettere al centro dei nostri pensieri il divertimento del giocatore. A loro non piacciono giochi troppo difficili o noiosi, il divertimento va messo davanti a ogni cosa. Se non vi convince, fate provare il gioco alla vostra ragazza. L’attenzione al prossimo è fondamentale».

Iwatani ha poi presentato un progetto che ha realizzato all’Università di Tokyo dove insegna: un dispositivo che riunisce in un colpo solo display, giocatore e controller. Il filmato mostrava una persona che di fatto «indossava» il videogioco, i movimenti guidavano il personaggio e c’era la possibilità di interagire con altri giocatori. Il gioco diventava una sorta di danza, una performance artistica. Una possibilità che Iwatani ha ritenuto di esplorare forte del fatto che il suo Pacman e’ entrato tra le installazioni al museo d’arte moderna Moma di New York.

«Le società che creano giochi non fanno questo tipo di ricerche - ha spiegato con ironia - e non credo che diventerò ricco con questo progetto. Sto anche cercando di fare giochi per i non vedenti e ho intenzione di sviluppare giochi che non abbiamo bisogno della rete elettrica per i Paesi in via di sviluppo».

A conclusione dell’incontro, prima delle foto e degli autografi di rito, Iwatani si è rivolto ad un giovane game designer che chiedeva consiglio: imparate a mettere la vostra testa nel cuore dei videogiocatori.

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