Erri De Luca
«La storia di Irene»

Sta coi delfini, creatura anfibia divisa tra loro e il mondo degli uomini. Sordomuta, emarginata da uomini e donne, sulla terraferma. Accolta, educata, resa madre, accompagnata nella maternità, dalla più solidale comunità dei delfini. Una ragazzina orfana in terra, che ha dovuto «cercarsi al largo, dentro il mare, l'affetto e la famiglia».
È Irene, protagonista dell'ultimo libro di Erri De Luca (Feltrinelli, pp. 109, euro 9). Lo scrittore napoletano continua, rilancia la serie delle favole zoomorfe, lavora ancora sul confine fra mondo della natura, degli animali e degli uomini, accentuando qui la carica simbolica, metaforica. Il che, agli amanti di più diretto realismo, può anche dare fastidio. Mettendo più o meno esplicitamente a confronto certa violenza, indifferenza, ingiustizia, emarginazione, della convivenza umana, con la solidarietà e socialità buona dei mammiferi marini.
In realtà in questa «Storia di Irene», che la fanciulla anfibia incontrata su un'isola greca consegna allo scrittore, ci sono anche e soprattutto la storia e le storie dello scrittore stesso. Pensieri «randagi», «intrugli» di pensieri, detti alla maniera di De Luca. Che è il dato più rilevante, vista l'emergenza e originalità stilistica di questa scrittura. Che tende continuamente alla densità del poetico, o dell'aforisma. Che insegue il primitivo, l'essenziale, l'arcaico, il sensoriale diretto; che non dice mai con le frasi e le parole di tutti, sfugge a quello che Gadda chiamava il «tritume obbligativo», la formula consueta, scontata.
Per esempio con metafore del tutto individuali (qui in linea con il tema marino): «Ho attraversato notti senza appoggio, insonnie di ferro e di fuoco e qualche mano santa che mi ha tirato a bordo del giorno seguente». Con continue personificazioni, umanizzazioni del mondo naturale: il cielo «compie la sua ruota panoramica intorno alla polare»; il mare s'infila in un'insenatura «per riposo dalla spinta del vento». In cui agisce continuo il gusto del rovesciamento dei rapporti consueti: tra uomo e natura, soggetto e oggetto, aggettivo e sostantivo, percezione e azione. Nella chitarra di De Luca ci abita un ragno e «la lega alla parete, senza disturbarsi se ogni tanto la slego. Penso che abito con un ragno chitarrista che me l'impresta di sera». Continui affioramenti delle letture sacre, degli studi biblistici, formidabile serbatoio di storie, si mescolano con gli affioramenti di memorie infantili, storie, canzoni, proverbi napoletani. Con la continua riflessione sul proprio mestiere di narratore, sulla propria vicenda di uomo, l'impegno per «qualche buona causa», la mancata paternità. La storia di Irene, appunto, è, in larga misura, storia di Erri, che ha raccolto nel cammino storie, che racconta a Irene.

Vincenzo Guercio

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