In viaggio nella malattia
tra incertezza e impotenza

Leggendolo, può venire in mente, mutatis mutandis, quello che un grande critico (Sebastiano Timpanaro) scrisse di un grande poeta (Giacomo Leopardi): «L’esperienza della malattia non rimase affatto un motivo di lamento individuale, un fatto privato e meramente biografico, ma divenne un formidabile strumento conoscitivo».

Certo, Francesca Mannocchi non pretende di costruire sistemi filosofici che definiscano il rapporto Uomo-Natura, ma, in «Bianco è il colore del danno» (Einaudi, pp. 208, euro 17), racconta la sua convivenza obbligata con la sclerosi multipla, cercando, ogni volta, di indagare le reazioni del corpo e della mente di fronte all’inconcepibile. Ne riesce, anche, un diario psicologico, un’assidua registrazione della sismica del cervello nel durante di una prova estrema: che, però, paradossalmente, riguarda tutti, se è vero che «la vita somiglia alla malattia come procede per crisi e lisi ed ha i giornalieri miglioramenti e peggioramenti» (Svevo). 2017: Francesca, 35 anni, è una giornalista «d’inchiesta», vita nomade, reportage da Paesi «scomodi», dove ha saputo costruire relazioni e amicizie: Iraq, Libia, Libano, Siria, Afghanistan.

Una mattina, in un anonimo albergo di Palermo, si sveglia con la parte destra del corpo che non risponde più. «Mi tocco la gamba. Non la sento. Mi tocco il piede. Non lo sento». Automatismi della sdrammatizzazione: «stress, bisogno di riposo, sei stanca, tesa». Invece, è il primo avviso della sclerosi multipla. Sei mesi di limbo diagnostico, per avere una risposta, un’idea dei futuri possibili. Non una cura, perché la sua condizione non consente di tornare stabilmente a un «com’ero prima». La risonanza magnetica diventa un rito trimestrale (semestrale se va bene). E proprio dal linguaggio e iconografia della risonanza viene il titolo: «Le mie lesioni sono bianche». La malattia produce macchie nel cervello, bianche in un grigio che «dovrebbe essere uniforme».

La parte più importante del libro è proprio la registrazione, sempre sorvegliata, vigile, fruttuosa a livello conoscitivo, delle reazioni e rassegnazioni della biopsiche a una condizione di provvisorietà, incertezza, impotenza sistematica, riuscendo, tuttavia, a sopravvivere. E, nel caso di Francesca, a diventare «madre danneggiata di un figlio appena nato», nonché lucida autrice di un libro in cui anche i «sani» possono riconoscersi: perché una perfetta salute non esiste.

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