«Alla fine avremo imparato a dirci
ti voglio bene qualche volta di più»

Questo spazio è dedicato ai lettori che ci scrivono per condividere i loro sentimenti, i progetti in questo momento di isolamento forzato per combattere il coronavirus. Scrivete al nostro indirizzo email: [email protected] oppure attraverso la pagina Facebook de L’Eco di Bergamo.

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Questo testo racconta come gli studenti stanno vivendo la situazione d’emergenza e dramma che sta attraversando la città e il nostro territorio. Sono parole raccolte da due professori, Luigi Marchese, docente di Italiano e Storia all’Itis Paleocapa, e da Linda Foglieni, professoressa di Italiano e di Storia all’istituto Ischool di Bergamo.

Gli adolescenti hanno bisogno di esorcizzare le paure, sono preoccupati, ma responsabili e si dicono più spesso «ti voglio bene. Questo è il ritratto che facciamo noi professori dei nostri ragazzi di Bergamo, professori oggi impegnati con gli studenti anche nelle video-lezioni quotidiane. I ragazzi però un po’ a sorpresa ci chiedono sempre più momenti di confronto, di discussione su quanto sta succedendo e che possiamo garantire grazie al supporto della tecnologia. Così tra i compiti assegnati all’inizio della nostra quarantena c’è stato quello di scrivere un diario giornaliero. Nei primi giorni del diario, subito dopo le vacanze di carnevale, qualcuno prendeva ancora un po’ superficialmente questa situazione, poi con il passare dei giorni e le notizie che diventavano più drammatiche tutti i ragazzi hanno preso consapevolezza del dramma. La nostra sensazione come docenti è stato subito univoco e ha allontanato quell’immagine dei ragazzi come adolescenti disinteressati e insensibili all’emergenza raccontata nei giorni scorsi dai media e dalla vita quotidiana di ciascuno. Sono tutti molto presenti. Hanno voglia di un contatto e scrivono spesso loro riflessioni, sia quando hanno richieste e dubbi, sia per una parola di saluto. Io stesso - spiega Luigi Marchese - per un problema personale sono stato qualche giorno in ospedale all’inizio di marzo e ho potuto raccontare ai miei studenti la situazione che ho visto al pronto soccorso. Dopo, in molti mi hanno scritto per chiedermi come stavo e per capire cosa stesse succedendo negli ospedali. In generale sono pieni di incertezze, soprattutto i ragazzi di quinta, non solo per l’esame di maturità che li attende, ma perché hanno capito che rischiano davvero di non vedersi più. Per questo scrivono che gli manca la scuola tanto che, giorni fa, mi hanno proposto: “Profe, quando tutto sarà finito facciamo una grigliata in baita?”.

In un certo modo questa situazione ha accorciato le distanze e anche noi professori abbiamo fatto cadere alcuni muri, interviene Linda Foglieni. È vero che la didattica a distanza noi entriamo in casa loro e gli studenti entrano nelle nostre, ma proprio questa condivisione ci sta facendo riscoprire una vicinanza che sta riscoprendo allo stesso modo tutta la nostra comunità. Personalmente seguo classi che vanno dalla prima alla quinta superiore e ovviamente le reazioni sono molto diverse fra gli studenti. I più grandi hanno maggiore consapevolezza della situazione e per questo cercano maggiori contatti e confronti. Vivono l’incertezza per gli esami di maturità, ma capiscono anche l epriorità e sono molto rispettosi. Le classi prime invece stanno facendo più fatica a capire e ad abituarsi alla situazione. In generale, si affrontano poco singoli casi specifici, si ha un rispettoso pudore nel fare domande personali, ma certo questo periodo di quarantena è sempre al centro dei loro pensieri, di quello che dorvanno fare e di cosa li aspetta. Mi sono accorta che si dicono più spesso che si vogliono bene.
(Testo raccolto da Astrid Serughetti)

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