«È l’ora di una nuova responsabilità»

Questo spazio è dedicato ai lettori che ci scrivono per condividere i loro sentimenti, i progetti in questo momento di isolamento forzato per combattere il coronavirus. Scrivete al nostro indirizzo email: [email protected] oppure attraverso la pagina Facebook de L’Eco di Bergamo.

Diamo spazio, qui e sul giornale, ai lettori che vogliono condividere i sentimenti, i progetti in questo momento di isolamento forzato per combattere il coronavirus. Scrivete al nostro indirizzo email: [email protected] oppure attraverso la pagina Facebook de L’Eco di Bergamo.
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Sono sempre numerosi i messaggi e le lettere che continuano ad arrivare alla nostra redazione. Oggi pubblichiamo il contributo e le riflessioni di Annamaria Paganelli.

Trascorri giornate nella percezione che non cambi nulla e in un secondo l’orizzonte si capovolge. È accaduto. Fatico a ricordare quando; il tempo del contagio è un tempo veloce che ci travolge. Da quando?

Tento di ricostruire i giorni; sabato 22 febbraio presento il libro ad un’assemblea numerosa attenta, tranquilla. Il giorno prima a Codogno, la notizia del paziente 1, affetto da corona virus, in gravi condizioni; scattano le prime restrizioni che dichiarano una parte della provincia di Lodi zona rossa.

Domenica 23 febbraio, notizia dei primi casi a Bergamo, in val Seriana; sembra profilarsi la prospettiva di provvedimenti restrittivi come nel lodigiano. L’assalto ai supermercati è la prima reazione dei cittadini: mi ritrovo in questo delirio.

In seguito un crescendo tragico giornaliero di nuovi casi. Primi provvedimenti restrittivi, ma da subito si capisce che non bastano, si chiede anche qui la zona rossa: siamo nell’ultima settimana di febbraio e nessuna zona rossa. Vengono applicate anche per noi le restrizioni: vietati gli assembramenti, si consiglia di non uscire di casa, mantenere le distanze.

Intanto i numeri volano, i contagiati cadono come birilli. In attesa della zona rossa che non arriva. Aspettiamo, appesi al filo dei bollettini ufficiali: la vita è appesa a un filo e per troppi si è già spezzato.

Ho fatto l’ultima passeggiata sui colli venerdì 28 febbraio. È passata solo una settimana dalla prima notizia di contagio a Bergamo. Il primo marzo i contagiati in val Seriana sono alcune centinaia, tra cui il sindaco di Nembro: si temporeggia discutendo se decretare la zona rossa, decisione che non arriverà mai: il mondo dell’impresa lo impedisce alzando i suoi scudi e qui sono molto potenti.

Di giorno in giorno fino ad oggi restiamo in casa. La città sembra la rappresentazione di uno scenario fantascientifico, blindata in un silenzio surreale e nell’assenza. E stiamo tutti disciplinati nelle nostre case.

Non so neppure come mettere in fila i pensieri che nascono ad ogni nuova notizia di peggioramento dell’emergenza; dai medici giunge instancabile l’appello per provvedimenti più “coraggiosi” per contenere il contagio, nella consapevolezza che molto presto, il sistema sanitario migliore in Europa rischierà il collasso. Intanto tutto il personale medico, paramedico e di supporto lavora senza sosta, senza turni, giorno e notte incessantemente, con generosità e coraggio inestimabili.

Penso all’impatto emotivo che vivono sulla propria pelle, nel duello per vincere sulla morte di tanti, con la consapevolezza che professionalità, competenza, generosità, non bastano perché il contagio è più veloce dei tempi della cura e presto non ci saranno più letti disponibili.

Oggi siamo al 21 marzo, è trascorso un solo mese. Siamo alla seconda colonna dei mezzi dell’esercito che nella notte trasportano le bare in altre città.

Il prezzo in vite umane che la provincia di Bergamo ha pagato è inaccettabile, ma non inspiegabile: se si fosse decretata la zona rossa entro l’ultima settimana di febbraio, il contagio sarebbe stato contenuto, come insegna l’esperienza di Lodi e della Cina.

Nella latitanza di decisioni che stabilissero cosa vale di più, se l’uomo o il denaro, la moneta è caduta sulla testa degli uomini e ha salvato il profitto…

La tragedia umana che travolge la nostra società, tanto complessa e vorticosa da pensarla perfetta, fa emergere rapidamente tutti i limiti, gli errori e il vuoto valoriale che hanno governato negli ultimi decenni attraverso scelte politiche, economiche e sociali con l’unico obiettivo del profitto, quel profitto che porta al potere. E chi ha questo potere lo usa e impone le sue scelte che coincidono con le proprie convenienze finanziarie.

Infine la natura ci presenta il conto e il prezzo sono le vittime del contagio e gli sforzi immani e disperati del comparto sanitario.

Nel diluvio di discorsi che in questi giorni viaggiano sull’etere, cerco le parole che sono via via mancate nel vocabolario collettivo quotidiano. Potrei elencarne molte, ma la parola che più prepotentemente si affaccia al mio pensiero è “etica”, il termine più nobile del pensiero filosofico, etica.

L’etica è scomparsa. Soffocata dalla visione auto centrica dell’individuo, nella morte del pensiero critico, nel silenzio dell’indignazione. Come molti ho assistito spaesata al dilagare di forme di dileggio, volgarità e violenza in una socialità reale e virtuale sempre più amorale, alla ricerca dell’eccitante e dello straordinario che riempisse il vuoto intimo.

Questo invisibile virus ha scombinato le carte, ha cambiato i giochi, ha fermato il mondo economico. Ha messo un punto e a capo, per ricominciare da noi uomini, persone, per scoprire che si può fare a meno di tanto superfluo, di tanto effimero.

Con la cenere in capo molti “potenti” dovranno assumersi la responsabilità delle vittime di un contagio fuori controllo per insipienza e codardia.

Dovranno chiedere scusa alle tantissime persone che in questo momento di emergenza si stanno prendendo cura dei cittadini: penso alle filiere dei prodotti primari, al personale dei negozi e supermercati, ai farmacisti, al mondo dell’associazionismo e del volontariato; al mondo della sanità e della scuola, della ricerca e della cultura; un tessuto sociale primario quest’ultimo, che negli ultimi decenni è stato massacrato, impoverito, reso fragile dalla mancanza di organici appropriati e di investimenti, perfino delegittimato nelle figure professionali.

Oggi questi professionisti sono in prima linea e svolgono un compito che non ha prezzo e non sarà riconosciuto mai abbastanza.

Accanto ai medici voglio ricordare gli insegnanti che da casa lavorano in continuo contatto con i loro studenti e sono presenza, riferimento e professionalità sin dai primi giorni, usando tutti i mezzi informatici a disposizione. Si dovrà chiedere scusa per averli così grossolanamente mortificati, screditati, delegittimati.

Il nostro grazie, con o senza applauso, è troppo poco.

È il tempo questo di nuove politiche che siano nel segno dell’etica dove abitano Sanità, Ricerca, Scuola, Cultura, Formazione, Competenza, Professionalità. E affinchè non restino ancora una volta etichette su contenitori vuoti è imprescindibile mettere, qui e ora, investimenti: questo sarà il segno tangibile della gratitudine dello Stato, della gratitudine di tutti noi.

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