«Vieni, Signore»
Dall’abisso sale la mia supplica

Questo spazio è dedicato ai lettori che ci scrivono per condividere i loro sentimenti, i progetti in questo momento di isolamento forzato per combattere il coronavirus. Scrivete al nostro indirizzo email: [email protected] oppure attraverso la pagina Facebook de L’Eco di Bergamo.

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IL VIDEO: La Bergamo che non avete mai visto: una città che lotta in silenzio
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Sergio, insegnante di religione, ci scrive e condivide con noi le sue riflessioni. Parte raccontando la fragilità e l’abisso del nostro quotidiano per approdare alla preghiera: per chiedere che i frammenti della nostra anima siano ricomposti dall’Unico che può farlo, perchè ha a cuore la nostra vita.

Nel caleidoscopio dell’anima

Oggi è stata una giornata dura. La prima per me veramente dura, in questa lunga quaresima che il Covid-19 ci ha imposto. Non che le altre finora siano state una passeggiata, ma quando stai facendo il tuo lavoro, una video lezione nello specifico, e ti raggiunge in tempo reale la notizia che una tua collega, con cui collaboravi fino a mezz’ora prima in chat per questioni di scuola, ha perso il papà… E tu sei sull’orlo dell’abisso, ma fai finta di niente perché gli studenti con cui stai lavorando non conoscono la prof e hanno il diritto alla loro normalità, ma a te manca la terra sotto i piedi.

Andrà tutto bene, ci ripetiamo come un mantra, pensando che se faremo bene tutte le cose che sappiamo fare e ognuno farà la sua parte, ce la caveremo.

Ma tu hai capito, perché lo vedi con i tuoi occhi, che quello che sta accadendo non è nelle tue mani. La sorte di quello che sta succedendo non è nelle nostre mani. Questo è l’abisso, questo fa tremare le gambe.

Questo rompe quella che credevi una corazza e invece è una semplice crosta. La crosta delle certezze che giorno dopo giorno uno crede di aver raggiunto.

E vai in pezzi.

Mentre prima, guardando dentro di te ti vedevi tutto d’un pezzo, ora vedi un caleidoscopio, ma sono solo pezzi di uno specchio che è andato in frantumi.

E allora … piangi. Di un dolore sordo, lento, che fa male perché non consola.

Quindi affiorano alla memoria le parole dei grandi. Quelle in cui ti sei imbattuto nel tuo percorso. E lì ti aggrappi. Percepisci la vicinanza umana che sono i grandi. Percepisci la loro magnanimità, perché mentre tu saccheggi i loro scrigni, loro ti lasciano fare e ti sorridono, e tu non devi neanche chiedere il permesso.

Vedi per la prima volta con chiarezza che il tuo lavoro è un “rischio”, un “rischio educativo”, come diceva Luigi. Perché con i giovani d’oggi non puoi barare, se sei finto ti “sgamano”. E tu devi rischiare la tua fragilità per portare alla loro fragilità una certezza, la certezza che quello che sta succedendo è nelle Mani di un Altro.

Rammenti Emmanuel e quel suo «è necessario che la verità nasca dalla carne, perché non si cristallizzi in dottrina», e senti tutto il dolore di questa verità.

Sei come gli Apostoli nel mare in tempesta che supplicano Gesù che dorme: «Maestro, salvaci».

Mentre tutto il mondo sta cantando “la canzone di guerra” che ben ci ha raccontato Buzzati ne “La boutique del Mistero”, dentro di te, nella mente e nel cuore, risuonano le note del “Rex tremendae maiestatis” della Messa da Requiem di Mozart, con quel sussurro finale “salva me”, che è il tuo urlo in questo momento.

Pensavi di essere un uomo di Speranza, e ti accorgi di quanto avesse ragione Charles a dire che la Speranza è una bambina, condotta a mano da due donne severe e solide, la Fede e la Carità. Ma dice anche che a ben guardare è quella bambina a sorregge le due signore.

Alla fine le ginocchia, quelle che per tutto il giorno hanno tremato, si piegano e sale umile la supplica: «Vieni, Signore, salvaci».

Ricomponi tu quei frammenti dell’anima che i giorni duri che ci dai da vivere hanno prodotto.
Sergio Togni

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