Dal plasma iperimmune
un aiuto contro il Covid-19

La terapia è ancora sperimentale, ma i risultati sono incoraggianti. In corso studi per capire se questa cura potrà entrare nella pratica clinica.

Da aprile 2020, il Servizio di immunoematologia e medicina trasfusionale (Simt) dell’Asst Bergamo Ovest ha iniziato la raccolta di plasma iperimmune da anticorpi anti Covid-19. Il responsabile del servizio, Luca Da Prada (da un anno dirige il Simt di Treviglio, dopo le esperienze decennali presso il Servizio Trasfusionale del S. Gerardo di Monza e poi al Simt del Papa Giovanni XXIII di Bergamo), si avvale della collaborazione dei colleghi Chiara Ambaglio, Barbara Manenti e Silvia Acito, per il programma di raccolta del plasma iperimmune.

Brevemente, potrebbe spiegarci le caratteristiche principali del plasma?

«Il sangue intero è costituito da una componente “solida” cellulare (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) e da una componente “liquida”, denominata plasma. Il plasma è costituito, oltre al 92% di acqua, da moltissime sostanze che svolgono innumerevoli funzioni, tra cui una serie di proteine che determinano la coagulazione del sangue e da altre che bloccano questo fenomeno. Inoltre, sono presenti gli anticorpi diretti contro i micro-organismi con cui siamo venuti a contatto nel corso della vita o, in alternativa, dopo aver effettuato la vaccinazione. Nel plasma sono presenti fattori che aumentano la temperatura corporea, ormoni prodotti da altre cellule del nostro corpo, sostanze derivanti da stati infiammatori».

Quando e come avete iniziato l’attività di raccolta del plasma iperimmune contro il coronavirus?

«In collaborazione con i colleghi del Centro Trasfusionale del Policlinico San Matteo di Pavia, dal mese di aprile, ci siamo organizzati per la raccolta di plasma iperimmune, adottando il loro protocollo clinico “sperimentale”: si tratta del plasma di pazienti-donatori che hanno sviluppato la malattia da Covid-19. Questo prezioso componente del sangue viene raccolto nella fase di avvenuta guarigione, quando è ricco di anticorpi specifici contro il coronavirus. Viene poi somministrato ai pazienti ricoverati in gravi condizioni per infezione da Covid-19, aiutandoli così a rispondere all’infezione con l’aiuto proprio degli anticorpi prodotti dal sistema immunitario del donatore».

Si può considerare il plasma una cura contro il Covid?

«Allo stato attuale, la terapia con plasma iperimmune è ancora “sperimentale” in quanto tutti gli studi condotti, e pubblicati su riviste scientifiche, hanno coinvolto un numero molto limitato di pazienti. Il primo studio, condotto negli Ospedali di Pavia e , ha coinvolto 46 pazienti ed ha evidenziato una riduzione della mortalità dal 15% al 6%. In un secondo studio multicentrico (Pavia, Lodi, Mantova e Novara), sono stati “curati” 80 pazienti, nessuno dei quali è deceduto. A Padova su 12 pazienti coinvolti, 11 hanno avuto un rapido miglioramento. A livello internazionale, sono in corso due studi controllati, molto interessanti, che prevedono, un arruolamento di 11.000 pazienti (studio americano) o la partecipazione di 40 strutture sanitarie (studio canadese).Quest’ultimi studi, in associazione a quello italiano gestito dall’Iss ed Aifa, in collaborazione con i Centri di Pisa e Pavia, permetteranno di ottenere informazioni utili a stabilire se la terapia con il plasma iperimmune potrà essere utilizzata nella pratica clinica».

Come viene utilizzato il plasma donato?

«Il plasma iperimmune può essere utilizzato clinicamente così come viene donato, oppure destinato ad un trattamento particolare in modo da ottenere un “superconcentrato” di anticorpi anti-Covid-19, esattamente come avviene per il trattamento del tetano: in caso di ferite e non vi è la certezza della data di vaccinazione, al paziente, vengono somministrati gli anticorpi anti-tetano, con singola iniezione. I virus sono “parassiti intracellulari” ovvero devono entrare all’interno di una cellula, grazie a strutture esterne simili a delle piccole “ventose” e “sfruttarla” per moltiplicarsi. Gli anticorpi, a forma di “Y”, si attaccano sulla superficie esterna del virus, in corrispondenza delle “ventose”, impedendogli di attaccarsi alle cellule umane. In occasione di questa pandemia, la rete trasfusionale lombarda si è attivata per rispondere alle esigenze della collettività utilizzando pratiche sanitarie già esistenti e consolidate anche se per altre malattie infettive».

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