«Il tumore ovarico è tra i più gravi»
Il «pap test» aiuta a predirlo

Uno studio del «Negri». Questo tumore è tra i più gravi e rientra tra le prime cinque cause di morte per tumore tra le donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni.

Il Pap test, esame per diagnosticare precocemente il tumore del collo dell’utero, potrà in futuro servire anche per identificare in maniera precoce il cancro dell’ovaio. Lo hanno dimostrato i ricercatori dell’ Istituto Mario Negri con uno studio che, utilizzando le nuove tecnologie di sequenziamento del Dna, hanno trovato nei Pap test di donne che avrebbero successivamente sviluppato un tumore ovarico tracce della proteina P53 alterata, con la stessa mutazione che si sarebbe poi ritrovata nel tumore.

Lo studio, in collaborazione con l’Ospedale San Gerardo di Monza e l’Università di Milano-Bicocca col supporto della Fondazione Alessandra Bono Onlus, è stato pubblicato su Jama Network Open. «È uno studio retrospettivo che va considerato con prudenza - osserva Maurizio D’Incalci, che dirige il Dipartimento di Oncologia del Mario Negri - perché attuato in pochi casi, ma i dati sono estremamente incoraggianti. Tanto che attiveremo collaborazioni con i principali centri ricerche per valutare questo test su un grande numero di casi».

La scoperta è di quelle importanti in quanto la maggioranza delle pazienti con carcinoma dell’ovaio non presenta sintomi specifici e la diagnosi della malattia arriva troppo spesso in fase tardiva, quando il tumore è avanzato e molto difficile da curare. Questo tumore è tra i più gravi e rientra tra le prime 5 cause di morte per tumore tra le donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni. Ma se viene diagnosticato allo stadio iniziale la possibilità di sopravvivenza a 5 anni è del 75-95%.

La ricerca è partita dall’ipotesi che dalla tuba di Falloppio (organo che collega l’ovaio alla cavità uterina) dove nascono la maggior parte dei carcinomi sierosi di alto grado dell’ovaio (che sono l’80% dei tumori maligni dell’ ovaio) si possano staccare, fin dalle fasi precoci, cellule maligne che, raggiunto il collo dell’utero, possano essere prelevate con un test di screening come il Pap test, comunemente utilizzato per diagnosticare precocemente il tumore del collo dell’utero. Ma per identificare le cellule del tumore ovarico i ricercatori sono andati a cercare tracce della proteina P53 alterata - che è causa di molti tumori - e con la precisa mutazione che si ritrova nei tumori ovarici.

«Il dato più interessante - osserva D’Incalci - è che abbiamo dimostrato la presenza di Dna tumorale da carcinoma ovarico in Pap test prelevati in pazienti fino a 6 anni prima della diagnosi di carcinoma dell’ovaio. Ed è stata identificata in modo chiaro la stessa mutazione clonale della proteina p53 che si ritrova in quel tumore. Questo rafforza l’idea che si tratti di alterazioni molecolari specifiche che sono alla base dello sviluppo della malattia. E ci indica che già 6 anni prima le analisi molecolari messe a punto oggi avrebbero potuto consentire teoricamente di diagnosticare il tumore».

Molti tentativi recenti di individuare biomarcatori precoci del tumore ovarico sono falliti e per questo «la scoperta fatta dai ricercatori italiani è di grandissimo significato», afferma Robert Fruscio, Docente di Ginecologia e Ostetricia all’ Università di Milano-Bicocca e responsabile della sperimentazione all’Ospedale San Gerardo di Monza.

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