Ok allo street food
ma con giudizio

Pronto al consumo, vario e a buon mercato ma potenzialmente rischioso: il cibo da strada o «street food», per chi viaggia in Paesi in via di sviluppo, rappresenta una buona alternativa al classico pasto «da seduti».

Pronto al consumo, vario e a buon mercato ma potenzialmente rischioso: il cibo da strada o «street food», per chi viaggia in Paesi in via di sviluppo, rappresenta una buona alternativa al classico pasto «da seduti».

Ma, come spiega l’Istituto Superiore di Sanità, non è innocuo, sia dal punto di vista microbiologico, ovvero può causare patologie gastrointestinali, che tossicologico, con effetti a lungo termine. Alcuni ricercatori del Dipartimento di Sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell’Iss, hanno identificato, in uno studio apparso su Food and chemical toxicology, i principali fattori di rischio, fino ad ora sottovalutati, suggerendo alcune buone pratiche da seguire. Innanzitutto il punto vendita.

Banchetti e furgoni dovrebbe essere localizzati in un luogo pulito e il cibo esposto tenuto coperto, «spesso, infatti, questi stand itineranti sono ubicati nei punti di maggior traffico e quindi sono facile bersaglio dell’inquinamento atmosferico. Senza considerare poi che in tutta l’area intorno al banchetto non c’è spesso disponibilità di acqua pulita, di strutture di smaltimento dei rifiuti, né di servizi igienici», spiega Chiara Frazzoli, dell’Iss, co-autrice della ricerca.

Quanto agli ingredienti, a volte, fa notare l’Iss, per poter essere economici, provengono da aree poco salubri, «ad esempio, pesce catturato in acque contaminate, carni di animali malati e sottoposti a trattamenti antibiotici o antiparassitari». Oppure potrebbero presentare contaminazioni provenienti «dall’uso improprio di disinfettanti per tentare di ovviare a cattive condizioni igieniche, o dal tentativo di migliorare l’aspetto del cibo con coloranti».

Per questo i commercianti dovrebbero essere in grado di certificare la conformità delle materie prime agli standard di sicurezza o almeno conoscerne la provenienza. Anche le condizioni di conservazione sono spesso carenti, con contenitori che rilasciano sostanze tossiche o umidità e temperature tali da favorire lo sviluppo di micotossine. Quanto alla cottura, le pentole utilizzate dovrebbero esser certificate, o almeno non deteriorate. Inoltre alcuni metodi di cottura possono incrementare la presenza di contaminanti, come gli idrocarburi policiclici, che si sviluppano quando si cuoce alla griglia, o l’acrilamide, quando si friggono alimenti ricchi di amido come le patate, o le amine eterocicliche, quando gli alimenti proteici vengono cotti a temperature elevate. (ANSA).

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