Analfabetismo e ignoranza
Lo smartphone non aiuta

L’Italia è seconda in Europa, preceduta solo dalla Turchia, nella poco onorevole classifica dell’analfabetismo funzionale. Il 28 per cento degli italiani, pur sembrando capace di leggere e scrivere, ha difficoltà a comprendere testi semplici, come il libretto d’istruzioni di un telefonino, ed è privo di molte competenze utili nella vita quotidiana. Sono gli analfabeti funzionali. Nessuna nazione europea ne conta un numero così alto.

Troppi italiani non sono in grado di comprendere fenomeni complessi. La democrazia, però, ha bisogno di persone che sappiano leggere e capire più di qualche frase. Ogni scelta della vita è determinata da quello che conosciamo. Se questo è insufficiente o sbagliato, assumeremo decisioni scorrette. Secondo una ricerca dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, quattro italiani su cinque non riescono a distinguere un profilo Facebook o Twitter falso. Tre su cinque, quando si trovano davanti a una notizia, non capiscono se sia vera.

In Italia la scolarizzazione è recente. Negli anni Cinquanta del Novecento l’analfabetismo toccava, addirittura, la quota del 30 per cento: nel Dopoguerra l’espansione senza precedenti dell’istruzione ha migliorato sensibilmente la situazione. In età adulta, però, come dimostrò già il linguista Tullio De Mauro, le competenze faticosamente costruite sui banchi – leggere, scrivere e far di conto – si deteriorano.

Nell’ultimo decennio, dopo l’arrivo dello smartphone, i livelli di lettura, scrittura, comprensione nelle scuole sono calati. Negli Stati Uniti i ragazzi di 17 e 18 anni, che leggono ogni giorno qualche pagina di un libro o di una rivista, sono passati dal 60 per cento degli anni Settanta al 17 di oggi. La capacità di leggere in modo critico e di scrivere è crollata, con risultati peggiori anche rispetto agli anni Novanta e ai primi Duemila. Gli adolescenti si limitano a sbirciare i post dei social e i messaggi brevi. Non hanno l’esperienza sufficiente per leggere testi che richiedano concentrazione per un periodo lungo di tempo. Sta crescendo la generazione smartphone, la «iGen», come segnala Jean M. Twenge dell’Università di San Diego, autrice di «Iperconnessi» (tradotto in Italia da Einaudi).

Non si coltiva più la memoria personale. Avendo sempre a disposizione apparecchi con una prodigiosa memoria artificiale, quella umana tende ad atrofizzarsi. Come spiega il neuropsicologo francese Francis Eustache, la capacità di trattenere le informazioni nella mente, rielaborarle e costruirne una sintesi individuale è la base non solo della conoscenza, ma della stessa identità personale. La memoria è essenziale: fa sì che noi siamo noi stessi.

Oggi passiamo continuamente da un argomento all’altro, compromettendo la facoltà di capire che cosa sia importante. «Abbiamo creato – rileva Maggie Jackson, autrice di “Distracted” – una società che premia soltanto ciò che è facile e comodo. Un mondo di risposte a portata di mano. Quando, però, dobbiamo analizzare qualcosa di difficile o risolvere una questione complessa, coinvolgiamo una parte di noi stessi più elevata, non più coltivata in questo mondo on-line. Tutto è diventato cliccabile e scaricabile. Ma non l’impegno e la fatica. Quelli sono scomparsi. Non c’è più l’umiltà, il punto di partenza per imparare, aprirci alle novità, metterci alla prova e arrivare alla risposta migliore e a una conversazione più profonda». «Ognuno di noi – aggiunge il neuroscienziato Michael Merzenich – è il risultato dei cambiamenti subiti dal proprio cervello nel corso della vita. La rivoluzione digitale influenza le decisioni che prendiamo e il modo in cui agiamo».

«Quella che stiamo vivendo – scrive Alessandro Baricco in “The Game” – non è solo una rivoluzione tecnologica. Uno dei concetti più cari all’uomo analogico, la verità, diventa improvvisamente sfocato, mobile, instabile. I problemi sono tradotti in partite da vincere in un gioco per adulti-bambini». Baricco non crede che la rivoluzione mentale sia un effetto di quella tecnologica, ma il contrario. È il principio stabilito da Google: il parere di milioni di incompetenti è più affidabile di quello di un esperto. Il Web offre una versione compressa del mondo. «Uomo-tastiera-schermo è il logo della nostra civiltà». Un ragazzo nato nel nuovo millennio considera lo smartphone un’estensione di se stesso. Baricco, anche se affascinato dalla rivoluzione digitale, osserva come si sia generata una sorta di «liberi tutti», sdoganando non solo nuove forme di intelligenza di massa, ma anche vecchie forme di stupidità individuali.

La caratteristica tipica dell’era della dipendenza dai dispositivi digitali non è solo la modificazione del nostro comportamento, ma il prevalere delle emozioni negative su quelle positive. Il pensiero veloce e le categorie facili dell’uomo-tastiera-schermo inducono a vivere senza conferire importanza al prossimo in carne e ossa e a regredire al lato primitivo, intollerante e pieno di pregiudizi. Odiare è più facile che capire. Il pericolo della cultura della distrazione di massa è la deriva autoritaria.

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