Il Nobel è rock: la scuola
aggiorni i programmi

L’incredibile coincidenza del Nobel a Bob Dylan nel giorno in cui è morto Dario Fo ha mobilitato il bel mondo cultural-spettacolare occidentale in un profluvio di commenti, interviste, osservazioni. Il colpo di teatro della cronaca ha creato l’imprevedibile passaggio di consegne tra Nobel irregolari, dal maestro della parola parlata a quello della parola cantata, due abusivi nel tempio della parola scritta.

Impossibile rincorrere i giudizi favorevoli e contrari, l’opinione di chi pensa che la scrittura da premiare sia quella che influenza la società e di chi invece sostiene che si debba rendere omaggio a chi resta nel solco della fedeltà al canone letterario. Ci pare che – se si vuol continuare a considerare credibili i riconoscimenti tributati dall’Accademia di Stoccolma – si debba, semplicemente, prendere atto che, nella lista dei Nobel per la letteratura, dopo Kipling e Tagore, Thomas Mann e Hermann Hesse, Camus e Beckett, figura anche il cantautore Bob Dylan. Così come Dario Fo, nel 1997, fu il sesto italiano dopo Carducci, Deledda, Pirandello, Quasimodo, Montale. Può piacere o non piacere: non è questo il punto. Il problema, forse, sono i programmi di letteratura italiana delle scuole superiori, che non stanno al passo con i tempi e, in trent’anni, sono andati avanti adagio, quasi indietro. All’esame di Stato gli studenti di quinta liceo portano ancora uno spettro di poeti che va da Leopardi agli ermetici. La narrativa si ferma al neorealismo, con una spruzzata di Eco o Camilleri, Brizzi o Benni, giusto per far capire che dai padri ai figli, e dai figli ai nipoti, sono passate un paio di generazioni. Di studiare Dario Fo manco a parlarne, figurarsi Bob Dylan. I manuali pubblicano, ormai da tempo, un paio di canzoni di De André, sempre le stesse, e ora magari anche una pagina di Saviano, per giustificare il rinnovamento delle edizioni e la richiesta ai docenti di cambiare i libri di testo. E’ l’impalcatura complessiva dei programmi che dev’essere reimpostata, per lasciare più spazio al Novecento: meno Arcadia e marinismo per poter proporre poi, come si conviene, gli autori del secolo scorso. Anche in storia non ci si può più accontentare degli accordi di Jalta. La guerra fredda è finita da trent’anni (e, ahinoi, si teme che ora ricominci). Le Torri Gemelle sono cadute qundici anni fa. E’ tempo che anche al ministero se ne accorgano.

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