Il ruolo dei media
nella lotta al terrore

Dopo gli ultimi sanguinosi attacchi, sui mezzi di comunicazione e all’interno delle redazioni si è aperto finalmente un dibattito sul modo in cui riferire dell’orrore degli attentati. Sappiamo che è impossibile non parlarne per il dovere di informare e il diritto di essere informati, ma anche che la truce contabilità del terrorismo è moltiplicata dai media. Il terrorismo è definito in questo modo proprio perché punta le sue carte criminali sia sulla violenza efferata, sia sulla risonanza mediatica.

Tanto più si parla dei loro delitti, quanto più i terroristi pensano che le loro inqualificabili azioni abbiano raggiunto l’effetto voluto. Massimo Recalcati ha scritto: «I terroristi rafforzano la loro immagine militare e il loro potere con l’aiuto involontario dei media». E Michele Serra: «La guerra in corso è in larga misura mediatica». Il mondo avrà compiuto un passo decisivo nella lotta al terrorismo, quando troverà il modo per uscire da questo vicolo cieco.

Intanto bisogna trovare una via di mezzo tra il silenzio e il telegiornale a ciclo continuo delle reti televisive «all-news». Nella Francia duramente colpita, Bfm-Tv e il quotidiano Le Monde hanno deciso di non pubblicare più le foto degli autori degli attentati. Dietro alla decisione c’è una domanda semplice: «E se la mediatizzazione della loro immagine stesse contribuendo a influenzare nuovi candidati alla jihad e indurli a passare all’azione?». Da qui la decisione dello stop alle foto, per evitare eventuali effetti di glorificazione postuma. Bfm-Tv diffonderà solo gli avvisi di ricerca che, diramati dalle forze dell’ordine, possano aiutare gli inquirenti. La radio Europe 1 e la tv France 24 hanno deciso di non diffondere più i nomi dei terroristi; il quotidiano La Croix userà solo le iniziali. In Francia, si fa strada anche una proposta di legge, appoggiata da destra e da sinistra, per rendere anonimi i terroristi, mentre una petizione lanciata in rete con le stesse finalità è destinata a raggiungere le centomila firme.

Un burattinaio stragista sta puntando sui cittadini europei per sfruttare la paura degli attentati e il disagio che nasce dai flussi migratori: la lotta al terrore passa anche dalla riflessione sulle responsabilità delle sempre più pervasive fonti informative. Al tempo del terrorismo italiano degli anni Settanta esistevano solo il tg della sera e i quotidiani del giorno dopo. Ora i giornali hanno perso il monopolio: c’è un profluvio di notizie da televisioni, siti, blog e social network. Intraprendere la strada di una minore esposizione delle gesta feroci dei terroristi significa non fare il loro gioco.

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