La scuola educhi
a scoprire se stessi

Se ripensiamo alla nostra carriera scolastica e ricostruiamo una gerarchia delle maggiori impronte lasciate sulla nostra educazione, tra elementari, medie, superiori e università, scegliamo le medie. L’abbiamo già scritto e lo ribadiamo ora per la riapertura delle scuole. Abbiamo frequentato le «Petteni» a cavallo della metà degli anni Settanta. Una scuola eccezionale, completa, con una particolarità che, oggi, appare addirittura incredibile. In una statale, c’erano ancora sole classi maschili o femminili, persino con ingressi separati. Incomprensibile.

Non stiamo parlando degli anni Cinquanta o dei Trenta. Quelle medie, per il resto, erano un modello. L’italiano si insegnava benissimo. C’era la palestra, imprescindibile, della grammatica. Già alle elementari ci si era esercitati in analisi grammaticale e logica. Ora si imparava quella del periodo. Si leggeva e si scriveva molto, sia a scuola sia a casa e anche durante le vacanze. Quando Montale, nel 1975, vinse il premio Nobel, l’insegnante ci introdusse allo studio a memoria dei componimenti più famosi dell’illustre poeta. Li ricordiamo ancora oggi. C’era il latino, obbligatorio in seconda, facoltativo in terza. L’insegnamento della storia era accompagnato da un’attenzione costante all’attualità. Insomma, non solo si conosceva già il Novecento ma anche la cronaca.

Di alto livello, inoltre, la preparazione in matematica e in scienze naturali. Non solo. Le materie considerate, a torto, minori, in realtà completavano l’istruzione in modo integrale. Educazione musicale ci ha regalato l’amore per la classica. Educazione artistica ci ha lasciato la passione per le mostre e i musei. Le applicazioni tecniche ci educavano anche a saper usare una pinza e un cacciavite. Anche Educazione fisica era una materia insegnata molto seriamente, puntando su ginnastica e pallacanestro.

Le nostre medie erano, sicuramente, più equilibrate e complete del liceo classico. Il modello scolastico creato dal filosofo neoidealista Giovanni Gentile ha creato, per preparare all’università, una superiore in cui, nei primi due anni di ginnasio, esisteva un insegnante che aveva ben 18 ore per le materie letterarie. Ce n’erano solo due di matematica, nient’altro di scientifico, due di lingua straniera, destinate a sparire nei tre anni di liceo. Fino al 1969 si accedeva all’Università solo attraverso quel classico. Il modello di Gentile era concepito sulla base di uno schema preciso. Alla scuola secondaria superiore spettava il compito di educare l’uomo in generale. Il filosofo sosteneva che il tempo del liceo fosse quello dei dubbi sistematici dell’adolescenza e lo studente dovesse incontrare degli adulti in grado non di fornire delle risposte, ma strumenti per poterle costruire. All’Università sarebbe spettato, poi, il compito di impartire le competenze professionali e tecniche. In Italia grandi scienziati – si pensi soltanto alla Fisica – sono usciti dal ginnasio-liceo gentiliano.

Abbiamo frequentato, poi, un’Università devastata dagli aspetti peggiori generati dalle conseguenze del Sessantotto, come la liberalizzazione degli accessi e dei piani di studio. Siamo sopravvissuti soltanto grazie alla solida preparazione ricevuta alle medie e al liceo.

Ai ragazzi di oggi auguriamo che la scuola insegni a scoprire la loro autentica vocazione e a non subire condizionamenti né dalla famiglia d’origine né dalla cerchia di amici e compagni.

Ricordate l’inizio del film di Olmi «L’albero degli zoccoli»? Il parroco consiglia ai genitori contadini del piccolo Mènec di mandarlo a scuola, perché è sveglio e intelligente. Per raggiungerla, il bambino deve percorrere, con gli zoccoli, sei chilometri a piedi. Lo studio vero è sempre un traguardo difficile da raggiungere. Buon cammino!

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