Teniamoci stretta
la cara vecchia scuola

Sovraffollamento, classi scoperte, dattilografi che insegnano informatica, quattro edifici scolastici su dieci in aree ad alto rischio sismico, precariato, eccessiva mobilità del personale di ruolo.

La scuola italiana non gode di buona fama. Lo testimoniano inchieste vecchie e nuove. Vuoi mettere le «high school» americane? Durano un anno in meno, hanno un piano di studi libero, vacanze ben distribuite durante i dodici mesi, insegnamenti più pratici che teorici, ottime occasioni di socializzazione. Normalmente le materie obbligatorie minime sono: scienze, matematica, inglese, scienze sociali, educazione fisica. Le materie a scelta determinano il percorso di studi personale. In molti licei è possibile seguire corsi specializzati («Advanced Placement» o «International Baccalaureate»), valutati per l’ammissione al college, cioè l’università.

Gli studenti iscritti a scuole superiori italiani possono frequentare un anno in America, dove i ragazzi delle famiglie molto abbienti possono essere iscritti a «Boarding School» o «Prep School», le private che offrono anche vitto e alloggio agli allievi residenti negli edifici scolastici. In classe c’è molta più libertà rispetto a un normale alunno italiano al penultimo anno: per esempio, si può decidere di andare a fare un giro anziché a scuola. Il prezzo? Quelle pubbliche possono costare ventimila dollari, quelle private sessantamila. Il Paese dell’uomo che si fa da sé si rivela, dunque, una gabbia di immobilità sociale. Se appartieni a una famiglia non agiata, ti spettano le scuole peggiori o addirittura la rinuncia all’istruzione: subito a lavorare. Forse è meglio che ci teniamo stretta la nostra cara vecchia scuola superiore con tutti i suoi difetti. Non costa niente, paritarie e private escluse ovviamente, ed è aperta tutti. Come ci è cara la nostra vecchia scuola italiana.

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