Partorisce e va in terapia intensiva
Ma la vita è più forte del coronavirus

Mariangela Cuter, 34 anni, intubata per Covid dopo aver dato alla luce Emilia: ora sono tutte e due a casa. «Il cesareo d’urgenza, la grande paura, l’affetto di tutti».

Emilia, 28 giorni appena, è figlia del virus. Di un virus contagioso, silenzioso e resiliente. Di uno di quelli che, invisibile, colpisce senza risparmiarsi. È il virus dell’amore. Quello di sua madre, Mariangela Cuter, 34 anni, di Osio Sotto, che l’ha partorita con un taglio cesareo urgente prima di essere intubata, sedata, piegata da quel Covid 19 che da questa storia ne esce sconfitto a mani basse. Di suo padre, Paolo Rossi, 43 anni, ex seminarista e insegnante di religione di Villa di Serio, rimasto chiuso in casa in quarantena per 21 giorni, tutti trascorsi in attesa di un messaggio della sua Mary, di una telefonata da parte dei medici, di una foto scattata da qualche ostetrica alla sua piccola Emilia, la star del nido degli Spedali Civili di Brescia, dove è rimasta per tre settimane. E di amici, parenti, vicini di casa, sacerdoti, anestesisti, puericultrici: di tutti coloro che si sono presi cura di loro tre, in queste settimane in cui il virus - quell’altro - ha picchiato duro.

La storia di Mariangela – insegnante di inglese, da tre anni residente a Erbusco, in Franciacorta, col marito Paolo - inizia come tante: febbre alta che non passa, tosse fastidiosa, e quella gravidanza che – Covid o non Covid – va portata a termine. «Avrei dovuto partorire il 23 marzo. Il 13 mi sono presentata alla Poliambulanza di Brescia: i ginecologi erano preoccupati, la febbre era salita troppo, la radiografia evidenziava una polmonite severa, nelle mie condizioni era tutto molto rischioso. Quando il tampone è risultato positivo, sono stata trasferita al Civile. Era il 15 marzo, e per il giorno dopo è stato programmato un parto cesareo d’urgenza».

Emilia viene al mondo il 16 marzo, quando i suoi occhi incrociano frammenti di quell’ospedale diventato uno degli epicentri della guerra al coronavirus: «L’ho sentita piangere, l’ho vista da lontano, ma ero positiva e potenzialmente contagiosa: non ho potuto nemmeno accarezzarla». E mentre la bimba viene trasferita al nido – il suo tampone è risultato negativo – per Mariangela inizia il momento più buio. «Le mie condizioni si sono aggravate, la maschera Cpap non bastava più, la crisi respiratoria era troppo severa: il 21 marzo i medici hanno deciso di intubarmi». Prima, però, Mary chiede un unico favore all’équipe che si sta occupando di lei. «Vedere Paolo, mio marito. Non sapevo cosa sarebbe potuto succedere, avevo bisogno di vederlo, di dirgli alcune cose, di metterci d’accordo sul futuro di Emilia. Era importante».

Paolo arriva, si barda fino al collo, si sfiorano: «Solo pochi secondi – ricorda lui –, Mariangela faceva fatica a parlare, c’è bastato guardarci negli occhi e stringerci la mano. Dietro di me c’era già la squadra di medici pronti a intubarla». Mariangela rimane in Rianimazione per 5 giorni: per Paolo – uomo di rara speranza, già pilota di mongolfiere, oggi organizzatore di escursioni in vespa e in quad fra i vigneti della Franciacorta – sono giorni di preghiera e di silenzio, interrotto soltanto da qualche messaggio dei medici e dalle foto di Emilia che dall’ospedale corrono fin sul suo cellulare. Poi, il 26 marzo, finalmente, «la» telefonata: «Mary sta meglio». La neomamma viene estubata, le sue condizioni migliorano. Fino a quando il 3 aprile, dopo due tamponi negativi, Mariangela riesce finalmente a prendere in braccio, per la prima volta, la sua Emilia: «A tre settimane dal parto avevo paura non mi riconoscesse, non capisse che ero la sua mamma. E invece ci siamo sentite subito. S’è accoccolata su di me e si è calmata: lei e Paolo sono state la mia ancora, l’ancora che mi ha riportato in vita».

La loro storia Paolo e Mariangela oggi la possono raccontare da casa, dove domenica 5 aprile la famiglia si è potuta ritrovare, al completo. «Sapevamo che, comunque fosse andata, la nostra storia d’amore avrebbe avuto un senso. Emilia è venuta al mondo mentre tutti, ma proprio tutti, si stavano occupando di noi, e di lei. In ospedale chiunque mi ha aiutato, fatto forza, nessuno si è risparmiato: le puericultrici hanno coccolato nostra figlia per tre settimane, perfino chi si occupava delle pulizie mi chiamava per nome, mi faceva coraggio. I nostri vicini di casa cucinavano per Paolo, tutti i sacerdoti e gli amici pregavano per noi, una bimba ha persino rinunciato ai suoi cioccolatini pur di far risvegliare la mamma di Emilia». Già, Emilia: quella bimba di 28 giorni che non è venuta al mondo in mezzo al virus, a quell’altro virus. Emilia è venuta al mondo in mezzo ad un mare d’amore.

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