A 26 anni nello staff della Missione
permanente della Santa Sede all’Onu

Certe cose, quando le leggi o le vedi in tv, ti feriscono dentro e lasciano un segno. Quando poi le avvicini, raccogliendo le testimonianze di chi le vive sulla propria pelle, allora la ferita sanguina, il segno si fa livido. «Impossibile rimanere indifferenti», racconta Chiara Colotti dal suo ufficio di Ginevra, collocato presso la Missione permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite. «Questioni umanitarie, rifugiati, migranti: argomenti tosti, ma è stato proprio occupandomene che ho capito di aver scelto la strada corretta. Ora l’obiettivo è dare un’unica prospettiva comune ai miei due grandi interessi, la comunicazione e la politica internazionale».

Un processo che affonda le sue radici nella terra vigorosa e gagliarda della Val Seriana: Chiara, classe 1994, è di Ponte Nossa, da dove ha imboccato un tragitto di studi che l’ha vista conseguire la laurea in Interpretariato e comunicazione, seguita dalla magistrale in Interpretariato di conferenza. «A quel punto ero pronta per fare l’interprete. Ma sentivo che mancava qualcosa, che quella non era la direzione da imboccare: avendo cominciato a interessarmi al diritto internazionale, ho aggiunto un master preso alla Cattolica nel 2019». Un passaggio cruciale, che ha schiuso nuovi orizzonti. La conclusione dell’iter, infatti, prevede tre mesi di stage presso enti convenzionati e Chiara è stata selezionata per un tirocinio da svolgere al Dicastero per la comunicazione della Santa Sede. «Trasferita a Roma, ho iniziato a lavorare nel mondo del giornalismo, realizzando interviste per Radio Vaticana e articoli pubblicati su Vatican News, sezione “mondo”: dalle attività svolte all’interno delle diocesi alle Giornate internazionali dell’Onu, agli eventi di rilievo disseminati su tutto il pianeta. E anche situazioni piuttosto drammatiche, come quella del campo di Vucjak, in Bosnia, per il quale Medici Senza Frontiere ha invocato la chiusura date le condizioni impietose in cui si sono ritrovati a vivere migranti e richiedenti asilo».

Inevitabile, a quel punto, sentirsi profondamente coinvolti. «Quando una persona come Tommaso Santo, capomissione Msf Grecia, ti parla della rotta balcanica, dei campi ridotti ai limiti della disumanità, non puoi rimanere indifferente. E oggi che, anche qui a Ginevra, mi occupo di profughi e rifugiati continuo a immaginare queste persone nel momento in cui lasciano la propria casa, ammesso ne abbiano una: se una madre mette il proprio figlio su una barca e lo spinge verso l’ignoto che gli si spalanca davanti significa che quell’acqua così inquietante è comunque più sicura della terra che abbandona».

Nel tempo, a Chiara è capitato di intervistare personaggi come David Sassoli, il presidente del Parlamento Europeo; o di incontrare i referenti di Medici con l’Africa Cuamm, organizzazione italiana che si occupa di progetti per la tutela della salute delle popolazioni africane. E approfondire un tema delicato quale il traffico di essere umani, attraverso l’opera di Talitha Kum - la Rete internazionale della Vita consacrata contro il traffico di essere umani - o gli interventi di Maria Grazia Giammarinaro, relatrice speciale Onu.

«Quello di Roma è stato un tirocinio intenso, durante il quale ho rafforzato le mie convinzioni e lavorato alle tappe successive. E attraverso le necessarie selezioni ho avuto accesso a una borsa di studio promossa dall’Istituto Toniolo che mi ha portato a Ginevra: si tratta di un Fellowship Program, che prevede l’inserimento con funzioni operative nello staff della Missione della Santa Sede. Qui operiamo a stretto contatto con il Consiglio per i diritti umani, un organo sussidiario dell’Assemblea Generale dell’Onu: periodicamente, tutti i membri valutano la situazione mondiale e danno forma a dinamiche di livello internazionale».

Da gennaio 2020, dunque, Chiara ha preso possesso del suo nuovo incarico, presto complicato dallo scoppio della pandemia. «Alcuni programmi sono rimasti bloccati, poi lo smart working ha limitato la nostra possibilità di azione: ora stiamo lavorando per portare a termine progetti già da tempo sul tavolo». Si tratta di seguire riunioni e sessioni – ad esempio quella dedicata a febbraio alla crisi in Myanmar – e trarne rapporti che poi vengono inviati alla Segreteria di Stato della Santa Sede, tenuta così al corrente di ogni situazione e problematica: «Una cosa è studiare sui libri e documentarsi attraverso i canali di informazione, un’altra è ascoltare gli interventi degli ambasciatori e dei rappresentanti delle associazioni umanitarie: hai la percezione diretta e immediata della posizione che ogni paese assume nei confronti di argomenti specifici».

E se le risoluzioni approvate possono anche non essere vincolanti, hanno comunque una potente portata dal punto di vista politico, perché la credibilità internazionale di uno Stato si basa anche sul modo in cui quelle decisioni verranno poi rispettate. Ragionando sul tema, Chiara ha così elaborato un personalissimo progetto: «C’è un sentimento di distanza fra il cittadino e le organizzazioni internazionali, fra quello che succede a Bruxelles e nel resto dell’Europa: a me piacerebbe invece sfruttare i mezzi e l’ambito della comunicazione per rendere tutto più fruibile alle persone, aiutandole a entrare nei meccanismi della politica internazionale e a scoprire, in particolar modo, la questione dei diritti umani».

Potrà provare a farlo, Chiara, anche nella prossima esperienza che andrà ad avviare con i primi giorni di aprile: la attende una traineeship presso la Commissione Europea, a Bruxelles, nell’ambito della quale continuerà a coltivare le sue consapevolezze. «Mi sento in una fase di costruzione. Ho vissuto e continuo a vivere momenti diversi, ciascuno formativo per la sua parte: ognuno di essi è un tassello, un’opportunità per imparare. E credere nelle proprie passioni, investire nella formazione personale è non solo importante, ma addirittura doveroso: perché la ricompensa, presto o tardi, arriva di sicuro».

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