«Ho sconfitto il virus incinta al nono mese»
La gioia di Michela, ora nasce Giacomo

Venerdì al massimo potrà stringere tra le braccia la sua più grande conquista, il primogenito Giacomo. E sarà gioia piena, doppia: Michela Nicoletti, 42 anni di Villa di Serio, un’inaspettata battaglia l’ha già vinta, superando alla grande il Covid-19. Guarita.

Lei che si stava preparando alla nascita di suo figlio, serena e in piena salute, il 21 febbraio scorso ha scoperto di essere positiva al virus. Poteva essere un duro colpo da incassare, un misto di angoscia e preoccupazione per sé e per il piccolo che porta nel grembo, sentimenti per di più alimentati dal clima pesante che si respira in bassa Valle Seriana, messa a dura prova dai tanti malati e morti per questo male meschino, «ma diciamo che l’ho vissuta abbastanza bene, grazie anche ai sanitari che sono stati premurosissimi e alla vicinanza – telefonica - dei miei amici». E alla vicinanza del marito Cristian Madaschi, originario di Torre de’ Roveri.

L’inizio di tutto

I primi sintomi «a fine gennaio – racconta Michela, che lavora al ristorante La Marianna all’interno del Papa Giovanni XXIII e fa anche la volontaria al centro anziani in paese –. Ho iniziato con un forte mal di testa per una decina di giorni, non passava, poi quando è passato ho iniziato ad avvertire un piccolo dolore al polmone sinistro che io però scambiavo per un dolore muscolare, perché lo avvertivo quando mi giravo e lo attribuivo al peso della pancia di nove mesi».

Ma il dolore si è propagato anche al polmone «finchè il 20 febbraio ho avuto dei colpi di tosse fortissimi e sono rimasta quasi bloccata – prosegue -. La mattina del 21 mio marito ha chiamato l’ambulanza, sono stata portata ad Alzano in ostetricia quando ancora era aperta perché ancora non si erano manifestati casi di coronavirus e lì sono stata visitata, ho fatto esami di ogni tipo, ecografie ai polmoni e poi al pronto soccorso l’internista mi ha auscultata e dimessa con diagnosi di sospetta pleurite-polmonite con sospetta costola incrinata».

Ma quattro giorni dopo le dimissioni, martedì 25 febbraio, visto che le condizioni di Michela non miglioravano nonostante l’antibiotico «anzi, continuava a mancarmi il fiato, ansimavo», è scattata la telefonata al Papa Giovanni XXIII «dove partorirò e dove sono stata seguita durante la gravidanza. Nel frattempo era scoppiato il pandemonio coronavirus – aggiunge–: martedì 25 sono venuti a prendermi con l’ambulanza, il tampone è risultato positivo al Covid-19 e sono stata ricoverata nel reparto infettivi da cui sabato 29 mi hanno dimessa perché l’ospedale cominciava a riempirsi e i casi meno gravi venivano inviati a casa». Tutto ciò senza mai avere una linea di febbre, ma «dolori e affaticamento quelli sì».

La seconda fase

Comincia la seconda fase, quella della quarantena in casa, seguita da Ats. Un isolamento a cui sono state sottoposte in tutto 9 persone, tra marito («che non ha mai avuto nulla»), sorella e famiglia, suoceri, genitori di Michela e una collega volontaria al centro anziani, fino a giovedì scorso. «Mi hanno chiesto l’elenco delle persone con cui avevo avuto contatti e da lì tutti i giorni sono stata chiamata con una gentilezza incredibile e tanta disponibilità – tiene a dire la futura mamma -, chiamando tutti i miei parenti costretti alla quarantena».

Poi la bella notizia, il sollievo: «La mia ginecologa, la dottoressa Luisa Patanè, ha richiesto il tampone di verifica per me ed è risultato negativo» Mentre fuori casa il paese piangeva gli anziani che, uno dopo l’altro, se ne andavano in un respiro, il conforto di tanti amici e parenti aiutava Michela a tenere duro. «Purtroppo tante persone morte a Villa le conoscevo – dice -: i miei genitori avevano una trattoria in paese, la “Trattoria dei cacciatori” meglio conosciuta come “Torciù”, il torchio, il classico posto dove si veniva a giocare a carte o a biliardo e quindi tanti anziani del paese erano clienti dei miei genitori, li conosco tutti. In questo clima difficile per la nostra zona ho comunque vissuto la mia esperienza senza abbattermi – spiega –. Certo, ho avuto i miei momenti di lacrime, ma in famiglia siamo persone abbastanza allegre e soprattutto non mi sono mai sentita in pericolo di vita. Poi ho cercato di stare calma anche per il bene del piccolo. Da parte degli amici ho avuto tanta comprensione, in ospedale mi chiamavano tutti in continuazione, non ho mai parlato così tanto al telefono».

Ora c’è da pensare soltanto a Giacomo. Lui scalcia, si fa sentire e riporterà presto la sua mamma al Papa Giovanni, ma nel reparto più bello che ci sia. «Per venerdì mi hanno fissato il parto indotto ma chissà, potrebbe voler nascere prima». Non sarà certo un problema, anzi: qui c’è tanto bisogno di sorrisi e vita che sboccia, tanto vale fare in fretta.

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