«Il virus già a gennaio. Alzano poi Codogno
Zona rossa? Il Sars-Cov2 circolava già»

«Quando a Codogno è stato trovato il virus, ad Alzano già c’era». Almeno da fine gennaio. È quanto emerge dallo studio diffuso venerdì 10 luglio, dopo le anticipazioni rese nei giorni scorsi da «L’Eco» sui due «ceppi» diversi di Sars-Cov2 circolanti in Lombardia, uno nella zona del Basso Lodigiano e nel Cremonese, l’altro che ha investito il nord-centro della regione, travolgendo in particolare Bergamo e la Valle Seriana.

Lo studio, promosso e sostenuto da Fondazione Cariplo, che ha organizzato la presentazione, in presenza e in streaming (erano collegate oltre 300 persone), è stato condotto dai ricercatori della Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano e della Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia.

Lavoro unico al mondo

«Una enorme mole di dati, di estremo interesse – ha dichiarato Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e coordinatore della Commissione ricerca scientifica di Fondazione Cariplo –. Non ci sono riscontri al mondo su uno studio condotto al tempo del Covid19 con questa qualità scientifica e una così ampia dotazione di dati. È lo studio più ampio condotto sino a oggi sul sequenziamento del virus circolante in Lombardia. Uno studio che deve essere necessariamente open access: la conoscenza e il sapere nascono dalla condivisione. E c’è un estremo bisogno di conoscere il più possibile su questo nemico».

Lo studio ha alla base due diversi piani di analisi: una ricerca del San Matteo su 400 donatori di sangue, effettuata in diverse zone della Lombardia, e un’altra che ha permesso di isolare sequenze genomiche del virus da circa 400 pazienti di tutta la regione.L’analisi comparativa dei genomi virali, derivati da tamponi raccolti dal 22 febbraio al 4 aprile, fa risalire l’ingresso del viru in Lombardia verso la met di gennaio: il percorso a ritroso alla ricerca dell’avvio dei «focolai» passa anche attraverso l’esame delle replicazioni del virus e il confronto tra le sequenze rilevate dai tamponi effettuati. «I dati raccolti mostrano inequivocabilmente che il virus è entrato in Lombardia prima di quel che si pensasse in origine e lo ha fatto con assalti multipli e concentrici di ceppi virali diversi – ha spiegato Carlo Federico Perno, Università di Milano, già direttore della Medicina di laboratorio del Niguarda–. Come se la Lombardia avesse subito un attacco di guerra; i carrarmati non sono entrati da un solo varco, ma quasi contemporaneamente da più parti, un accerchiamento. Mentre la Lombardia cercava di evitare che il virus fosse importato dalla Cina, aveva già il nemico in casa».

Le date e gli anticorpI

Alcuni punti fermi nella cronologia: «Il 30-31 dicembre 2019 la Cina avverte il mondo della presenza del virus, ne isola l’intera sequenza genomica, scattano in Italia i primi provvedimenti, attraverso i tracciamenti degli arrivi di viaggiatori dall’Asia – illustra Fausto Baldanti, responsabile del Laboratorio di Virologia molecolare del San Matteo –. Il 20 febbraio a Codogno si segnala il primo caso di coronavirus: un paziente però che non ha mai fatto viaggi in Cina né ha avuto contatti con persone arrivate dalla Cina e quindi sospette. Tre giorni dopo, i casi di Alzano. Ebbene ora sappiamo che questi casi non erano dovuti al virus cinese ma ad altri ceppi, differenti. E che non erano i primi segni del virus in Italia: il Sars-Cov2 c’era già. L’analisi di campioni di sangue di 400 donatori ha permesso di scoprire che almeno 5 individui, nella zona di Codogno, avevano gli anticorpi neutralizzanti a fine gennaio. Le sacche di sangue donate vengono stoccate per un mese prima di essere lavorate: a febbraio abbiamo trovato gli anticorpi nei campioni di gennaio, che compaiono intorno alla 4a settimana dal primo contatto con il virus: quindi c’erano persone positive già prima del noto caso di Codogno».

Origine europea

Si cercava il «paziente 0» che avesse importato il nuovo coronavirus dalla Cina in Lombardia, quando il Sars-Cov2 era già nei confini lombardi. E quei ceppi circolanti sottotraccia nella regione sono poi esplosi a fine febbraio, ma pur parenti del progenitore cinese, la ricerca genomica ha dimostrato che sono invece legati alla «famiglia» che era in Europa. Da lì arrivano i due ceppi che hanno scatenato il dramma lombardo. «Sono state isolate 346 sequenze del virus su circa 400 persone di 12 province lombarde, individuate 30 mila basi del virus con solo 7 punti di variazioni minime – ha chiarito Perno –. E sono state identificate due “catene” di trasmissione virale, li definiamo ceppi. La prima, caratterizzata da 131 sequenze, si è diffusa forse già dal 24 gennaio, principalmente nel nord della Lombardia, con Bergamo e le aree di Alzano e Nembro, e qui il virus si è evoluto più rapidamente; la seconda, composta da 211 sequenze, più variabile, ha caratterizzato, generando anche altri tre «figli», l’epidemia del sud della Lombardia, con Lodi e Cremona colpite intorno al 27 gennaio».

Zona rossa e polmoniti

Un risultato che offre uno spunto di analisi anche sulla questione della mancata zona rossa ad Alzano: Perno ha rimarcato che «se fosse stata disposta la zona rossa ad Alzano e Nembro sarebbe stato fatto quando già il virus era presente all’interno. Quando a Codogno è stato trovato il virus, ad Alzano già c’era. Quindi sarebbe stata una chiusura con il virus già dentro, anche se fosse stata fatta al momento di Codogno. Questo non significa che non si dovesse fare, sono valutazioni in cui non entro».

Ora, in queste settimane, si è parlato anche delle polmoniti «sospette» segnalate a gennaio ad Alzano. «In quel momento si era anche nel picco stagionale delle influenze: il quadro epidemico stagionale e il fenomeno del virus si sono sovrapposti. Se fossero comparse ad aprile di certo ci si sarebbe insospettiti. Come è successo a Pavia alcun anni fa, quando si è scoperto subito e isolato un caso di influenza suina», ha aggiunto Baldanti.

Parlare di due «ceppi» diversi che hanno invaso la Lombardia può però trarre in inganno: si tratta di «distanze genetiche» tra le varie sequenze, tanto più tempo passa tanto più ci sono sequenze diverse, ma, è stato rimarcato ieri, non significa che il virus sia cambiato. O che si sia indebolito. «Il virus è sempre quello è il virus più infettivo che abbia mai visto. Al contrario dei cugini Sars e Mers sembra fatto per restare, non per andare via, biologicamente parlando. Il virus non ha perso potenza, è la malattia che ha perso potenza, e che noi sappiamo aggredire meglio. Quindi un vaccino efficace è cruciale», ha rimarcato Perno. Sottolineando che la ricerca dice del virus che «la variabilità è scarsa, ciò ci fa affermare che abbia mantenuto la sua patogenicità, ma essendo stabile è probabile arrivare a un vaccino».

Proteina Spike e vaccino

Una stabilità del virus che è il punto su cui deve concentrarsi la ricerca, ha concluso Mantovani: lo studio «dà un quadro di due tsunami che si sono abbattuti sulla Lombardia», negli epicentri di Alzano e Codogno, «ed è importante sottolineare le implicazioni per il futuro. E queste sono che il virus adesso è stabile. Per parlare chiaro, vuol dire che ci sono poche mutazioni, le mutazioni non cambiano per quanto ne sappiamo l’aggressività del virus. Stabile vuol dire che la proteina Spike, l’àncora che il virus usa per aggredire le cellule, non cambia. Lì sono diretti i vaccini, gli anticorpi, quasi tutti, e questo è estremamente importante».

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