La Francia attaccata
e i principi di libertà

Il dato fondamentale, oggi, è che la Francia è sotto attacco. Da quando, ai primi di settembre, si è aperto a Parigi il processo contro i terroristi che nel 2015 fecero strage nella redazione del Charlie Hebdo, gli atti di violenza si sono susseguiti senza sosta. Il giornale satirico ha ripubblicato le vignette su Maometto che avevano fomentato gli assassini e la reazione non si è fatta attendere. Un immigrato pakistano ha ferito due persone davanti alla sede del giornale; poi un ragazzo di origine cecena ha sgozzato un suo professore, Samuel Paty, che aveva parlato in classe delle vignette; infine, il massacro di Nizza (già colpita dal terrorismo islamista nel 2016 con 87 morti), compiuto da un immigrato clandestino tunisino sbarcato due mesi fa a Lampedusa, mentre un altro uomo aggrediva gli agenti di polizia ad Avignone, rimanendo ucciso.

Nel periodo degli attacchi, però, si è sviluppata anche una violenta polemica tra la Francia e la Turchia, tra il presidente Macron e il presidente Erdogan. Nell’elogio funebre del professor Paty, Macron aveva esaltato i valori della laicità e della ragione («In Francia i Lumi non si spegneranno mai») ed Erdogan, sempre a causa delle vignette, lo aveva accusato di voler perseguitare i musulmani come un tempo avevano fatto i nazisti con gli ebrei, incitando poi i musulmani a boicottare i prodotti francesi. Tutti i leader europei avevano reagito sdegnati alle parole del Rais, mentre in molti Paesi a maggioranza musulmana (Pakistan, Giordania, Libano, Kuwait…) personaggi politici anche molto importanti (per esempio, il presidente pakistano Imran Khan) si erano allineati alle critiche di Erdogan.

Abbiamo ricostruito tutto questo perché dev’esser chiaro che la crisi ha diverse dimensioni. La prima e decisiva, ora, è che non può essere tollerato alcun attacco terroristico contro la libertà d’espressione e contro le leggi di cui un Paese, in questo caso la Francia, si è liberamente dotato. In Europa non abita la censura ma, soprattutto, non abita il disprezzo per le altrui convinzioni, nello specifico quelle dell’islam. Lo dimostra il fatto che in Ue (più Svizzera e Norvegia) vivono 25 milioni di musulmani, pari al 5% della popolazione, che non possono certo dirsi discriminati per la loro religione. E tanti altri, compreso lo stragista di Nizza, continuano a chiedere accoglienza. Ma c’è anche un’altra dimensione che, proprio in omaggio alla ragione, non possiamo non cogliere, ed è la presidenza Macron. Nei tre anni passati all’Eliseo, ha destato tensioni sociali mai viste, ha praticato una dura politica anti-immigrazione (poi completata da un inasprimento delle leggi relative) e, dalla Libia al Mediterraneo, ha gestito con arroganza il ricordo della grandeur francese. Proprio su questo terreno è andato a scontrarsi con Erdogan: in Libia, appoggiando il generale Haftar contro le istituzioni internazionali e la stessa Ue che sostengono invece Al-Sarraj, a sua volta fiancheggiato dalla Turchia; e nel Mediterraneo mandando le navi da guerra francesi a sfidare quelle turche. Non si tratta, qui, di stabilire chi abbia torto o ragione. Diremmo torto francese in Libia e torto turco nel Mediterraneo. Ma resta il fatto che quando si sceglie un certo profilo con certi avversari, bisogna anche saper prevedere le conseguenze. Ed Erdogan in queste cose non conosce remore. Nessuno all’Eliseo ricordava come il Rais mobilitò le comunità turche in Germania e nel Nord Europa quando entrò in contrasto con Merkel? Ma, ripetiamolo, oggi siamo tutti Macron. E siamo anche tutti Charlie Hebdo, sebbene quegli stessi Lumi cari alla République ci dicano che la vignetta su Erdogan (il Presidente turco, in mutande, tocca il sedere nudo di una donna velata), pubblicata proprio mentre la polemica diventava furiosa, era squallida e inutilmente provocatoria. La responsabilità penale è tutta e solo degli assassini. Ma in una società civile ci sono anche altri tipi di responsabilità che non dovremmo ignorare.

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