La lunga battaglia di Guaitani
«Dopo sei mesi ho sconfitto il Covid»

Fara d’Adda, a metà marzo l’ex sindaco è stato ricoverato, poi il trasferimento a Como e a Varese. A casa è tornato il 21 settembre. «Il primo pensiero è stato: devo farcela».

Prossimo obiettivo, un bastone. «Per muovermi uso ancora il deambulatore», dice Giancarlo Guaitani, «ma conto di abbandonarlo presto perché voglio arrivare a utilizzare quanto prima il bastone. Sarebbe un altro passo avanti, e lo dico in tutti i sensi». Si può star tranquilli che Guaitani, vittorioso da sempre sulle difficoltà della vita, riuscirà in fretta anche nel suo nuovo intento. Neppure il Covid è riuscito a fiaccarne lo spirito, neppure sei mesi di ospedale hanno potuto corroderne la tempra: sei mesi trascorsi lontano da Fara Gera d’Adda (dove è nato nel 1951 e da sempre abita) e dagli affetti, da moglie e figlie che, salutate a marzo in un crescendo d’angoscia, ha potuto riabbracciare soltanto a fine settembre.

«Questa, magari, il destino avrebbe potuto risparmiarmela». Riesce persino a ridacchiarci sopra, ora che le paure si sono dissolte: «Però mi sento orgoglioso di aver vinto la sfida: la forza di volontà è un’arma straordinaria, la prima da imbracciare quando si va in battaglia».

La poliomielite

Lui, le battaglie, ha cominciato a combatterle che ancora era bimbo. «Avevo due anni, la poliomielite mi paralizzò le gambe e sembrava impossibile che riprendessi a camminare. Ma mi curarono in un centro all’avanguardia, il Santa Corona di Pietra Ligure, che negli anni ’50 proponeva terapie avveniristiche: e io ci misi l’impegno e la cocciutaggine di ragazzino, deciso a guadagnarmi una vita normale. Alla fine sono arrivato a giocare a tennis: va beh, nel singolare faticavo un po’, ma in doppio ho sempre fatto un figurone».

Forte d’animo, caparbio nei propositi, Giancarlo Guaitani ha preso di petto anche il resto dell’esistenza. Laureato nel ’75 in economia, dipendente Ibm per quasi vent’anni, poi passato alla Fai Filtri di Pontirolo dove oggi è direttore amministrativo. In piena maturità ha sviluppato una forte passione politica, vivendo da sindaco di Fara il decennio 1985-1995. «Per me politica ha sempre significato interessarsi delle cose che accadono attorno a noi. Poi però ho fatto sempre più fatica a seguire un’evoluzione che non capivo e non volevo accettare. E pian piano me ne sono allontanato».

Il risveglio ad aprile

La vita, insomma, è tornata a scorrere tranquilla, fino a quello strano venerdì dell’epoca Covid: «Metà marzo, una febbriciattola che all’improvviso sale a 39°: la situazione non migliora neppure con le pastiglie, anzi la saturazione crolla a 90. Il 26 marzo il 118 mi porta a Zingonia, con tampone positivo e ricovero in terapia intensiva: pesavo 87 chili, in un mese ne perderò 28».

Sfoglia un plico di referti il signor Giancarlo, ripercorrendo quello che, in realtà, lui ha vissuto in incoscienza: «Sono stato intubato, ho avuto il casco, mi hanno trasferito prima a Como e poi a Varese: non ne ho avuto la minima percezione e quando mi sono risvegliato al Sette Laghi era già metà aprile. Muovevo solo la testa e gli occhi, con dolori fortissimi appena qualcuno mi sfiorava».

La mente, però, quella non s’è mai atrofizzata. Lucida sin da subito, sorretta dal solito vigore dell’animo: «Al Signore ho chiesto di non spegnermi il processore del cervello; ai medici di spiegarmi bene cosa avevo avuto e come potevo uscirne. Il primo pensiero è stato: “devo farcela”, poi l’istinto di sopravvivenza mi ha guidato lungo cinque mesi in cui ho rimesso in moto il corpo, i suoi organi e i suoi muscoli».

Un’impresa titanica: affrontata a Tradate, dove a fine aprile è stato spostato per la riabilitazione, e vissuta insieme a un team esemplare («Dottori, infermieri, fisioterapisti e oss hanno dimostrato una professionalità encomiabile, quella che ci vuole quando la volontà da sola non basta»), con il pensiero fisso rivolto a casa. «Mia moglie Angela e le mie figlie Alessandra e Chiara non ho mai potuto incontrarle: i primi tempi faticavo anche a reggere il cellulare, poi le cose sono migliorate e le videochiamate ci hanno fatto sentire più vicini. Ma rivederle quando sono venute a prendermi, il 21 settembre, è stata un’emozione potentissima».

Grande commozione

La commozione intrisa di lacrime, la festa del ritorno annaffiata con un po’ di vino di quello giusto. «Ho ritrovato il tepore domestico, il piacere del cibo buono e delle golosità. Devo ringraziare il dottor Armando Pecis, mio medico curante, e tutti quelli che hanno sempre continuato a chiedere di me, aiutando la mia famiglia a reggere questi mesi di apprensioni: adesso finalmente possiamo guardare avanti».

«Avanti», però, ci sono prospettive ancora cariche di inquietudine: «Si, ci aspettano mesi nuovamente duri. Non dobbiamo avere paura, ma neppure sottovalutare i rischi, perciò invito tutti a rispettare le regole suggerite dagli organi di prevenzione sanitaria. In attesa che arrivi ’sto benedetto vaccino».

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