Nove ore al Pronto soccorso: «Proteste?
No, mio figlio più cosciente del valore della vita»

La bella lettera di una mamma (Barbara di Villa D’Almè) che ha riscoperto il rapporto con il proprio figlio nell’interminabile attesa al Pronto soccorso: niente cellulare, è stata più forte l’esperienza reale della sofferenza e del dolore e lui ne è uscito accresciuto e più consapevole del valore della vita.

«Ieri pomeriggio ho portato mio figlio di 16 anni al pronto soccorso, niente di grave, un trauma alle costole di qualche giorno prima durante una partita di calcio stava peggiorando come dolore, nemmeno gli antidolorifici facevano più effetto e faceva fatica anche a respirare profondamente... quindi per sicurezza, consultata l’applicazione e visto che alla clinica Gavazzeni davano solo 4 persone in attesa, siamo partiti, dopo l’accettazione ci sediamo, danno un’attesa di 2 ore: così tanto? chiede lui...

Ma si sa, i ragazzi di oggi non hanno più pazienza e vogliono tutto e subito... lo invito ad usare un pò il cellulare per giocare, per chattare con gli amici, per passare un pò il tempo...ma non vuole...strano, penso...ma i suoi occhi e la sua mente sono catturati dalle persone, come se guardasse la vita per la prima volta... gente sofferente, sola, disperata... intanto le ore diventano 4, 5, 6... ogni volta toccherebbe a noi ma continuano a superarci le ambulanze che arrivano, una dietro l’altra... ogni volta le malediciamo perché ci rubano il posto, poi però ci pentiamo e ringraziamo il fatto di non essere né loro né i parenti che aspettano fuori piangendo col segnale “emergenza in corso” illuminato... alcuni pazienti in attesa nel frattempo perdono la pazienza: qualcuno grida “criminali! terroristi!” al personale perché ormai sono passate 8 ore ed è necessario l’intervento dei carabinieri... invece Simone no, paziente e affamato commenta con me i vari giovani motociclisti incidentati del sabato sera, un tossico in piena crisi che urlava e da tenere fermo in 3 e i tantissimi volontari della croce rossa, giovani e meno giovani, che sacrificano il loro weekend per soccorrere gli altri.

Finalmente a mezzanotte, dopo oltre 9 ore, tocca a noi... quasi un peccato: stavamo giocando a sasso, carta, forbice come due bambini piccoli e ricordando episodi della sua infanzia, ci siamo sentiti vicini come non accadeva da tempo, da quando i videogiochi e il cellulare si sono impossessati della sua vita, ma stasera no, stasera era solo mio e della realtà vera e dura dell’ospedale e guardandolo uscire da lì mi è sembrato diverso, con occhi più maturi o forse solo più consapevole che la vita è un soffio e va amata e rispettata in ogni istante, in ogni attimo prezioso che ci viene donato e mai più restituito!!!»

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