Over 85 oltre la bufera del virus
«Salvi grazie al vicino medico»

Anna Berlendis, 88 anni, e Luciano Colleoni, 90 anni, raccontano i giorni dei ricoveri e le preghiere per il personale sanitario. «Il dottor Brambilla ci ha curati da subito».

Sono tornati alla vita di sempre, ma nelle loro parole si sente il peso della lotta contro il Covid. Anna Berlendis, 88 anni, e Luciano Colleoni, 90, vivono a Zogno, a pochi passi l’uno dall’altro. Sono stati travolti dalla prima ondata di Covid, ma ne sono usciti forti come prima.

Medici e infermieri hanno salvato loro la vita. Primo tra tutti il dottor Marcello Brambilla, convivente della figlia di Anna e medico di base in Val Serina che oltre a occuparsi giorno e notte dei propri pazienti, ha assistito anche diversi malati di Zogno. Ogni giorno passava a visitare Anna e Luciano che accusavano febbre e problemi respiratori. Ne ha curato la polmonite e poi li ha fatti ricoverare per i conseguenti problemi cardiocircolatori: Anna prima a Vimercate e poi al Policlinico di Monza, dove è stata sottoposta a un intervento chirurgico per l’inserimento del pacemaker, e Luciano a San Giovanni Bianco.

«Avevi solo voglia di vivere»

«Ho sopportato senza dire nulla perché avevo disperatamente voglia di vivere per la mia famiglia – racconta Anna -. Ho sofferto molto, ma avere accanto medici e infermieri che mi confortavano ha fatto la differenza. Sono stati straordinari. Ogni sera prego per il personale sanitario che tanto si prodiga per salvare vite».

Eppure Anna fino ad allora non aveva mia avuto problemi di cuore: «Erano trent’anni che non mi ammalavo. Quando dopo 40 giorni sono tornata a casa, non riuscivo a camminare. È stato mio nipote Diego a rimettermi in piedi con esercizi riabilitativi e motori personalizzati».

Anche Luciano, a cui non è mai mancato il sostegno delle nuore Barbara e Ivonne, rispettivamente infermiera e biologa, è rimasto ricoverato per tre settimane: «Mi hanno messo il casco per respirare - interviene -, ma non ho mai avuto paura. Sapevo che sarei tornato a casa da mia moglie».

Lui era stato contagiato dal vicino di casa: «L’ho aiutato perché non gli partiva l’auto. Non sapevo che era ammalato, ma due giorni dopo è morto». Luciano invece ce l’ha fatta. Non solo. A distanza di sei mesi, ha rimesso 12 dei 14 chili persi durante la malattia, guida, va a fare la spesa e tante passeggiate.

Anna invece a Natale ha cucinato per tutta la famiglia. Cuce e ricama. Entrambi sono pieni di gratitudine: «Se non fosse stato per il dottor Marcello che ci ha curati da subito, non ce l’avremmo mai fatta».

Più di 700 pazienti guariti

Come loro, tanti altri. Sono più di 700 i pazienti che il medico ha guarito in Val Serina dove il virus era arrivato presto. «Già in estate avevo visitato bambini con macchie sotto i piedi – spiega -. Anche in Pediatria al Papa Giovanni se ne erano accorti, ma non ne conoscevano la causa. Poi sono arrivati i problemi polmonari. Il mio primo paziente ad accusarli è stata un’insegnante di Bracca a inizio settembre. Poi a ottobre svariate polmoniti. Se si fosse fatta subito un’analisi approfondita, se ne sarebbe compresa la natura vascolare. Io e la mia compagna Teresa ci siamo ammalati in quel periodo, ma il boom è stato a metà febbraio. Quando hanno iniziato con i tamponi di massa, avevo già avuto 700 pazienti sintomatici».

Il dottor Brambilla, che durante il Covid ha perso il fratello di 49 anni («purtroppo la lontananza mi ha impedito di seguirlo regolarmente nelle cure», non ha mai abbandonato i suoi pazienti. Andava casa per casa. Nel boom della pandemia e nonostante gli fosse stato diagnosticato uno stress coronarico, ha percorso 2.000 chilometri e salvato centinaia di vite, intervenendo subito. Merito anche del supporto della compagna che insieme alla figlia ogni giorno rispondeva a oltre 150 richieste di aiuto e si dava da fare per recuperare bombole di ossigeno.

«Ridere è una cura»

«L’immunità di gregge in Val Serina è arrivata a maggio – conclude -. I problemi ora sono altri, ma se ne parla poco, vedi tutte le patologie post Covid e il panico tra la gente. Ogni giorno cerco di rasserenare i miei pazienti: oggi ridere è la cura di cui si sente maggiormente bisogno».

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