Alitalia, alleanza
a 4 per salvarla

Alla fine Atlantia ha ceduto. Il partner con il quale le Ferrovie dello Stato discuteranno il piano industriale per il salvataggio di Alitalia sono i Benetton. Il consiglio di amministrazione di Fs è durato quasi sei ore, a conferma che la scelta non è stata facile. Respinte le altre proposte. Delta, il partner americano, che dovrebbe entrare nell’azionariato per il 10-15 %, ha detto no a tutti gli altri candidati, nello specifico Toto, ex di AirOne, Claudio Lotito e German Efremovich, azionista di Avianca, società aerea colombiana.

E già la presenza di questi nomi dovrebbe far capire il livello al quale è giunta la questione Alitalia. Nel linguaggio borsistico di direbbe spazzatura. Le motivazioni le aveva argomentate l’advisor: non danno garanzie. Lotito per esempio non ha neppure inviato risposte scritte in grado di fornire credenziali sulla solidità finanziaria. Avianca ha tra le sue consociate Avianca Brazil in fallimento, il che non è un bel biglietto di presentazione.

Su Toto parlano i suoi precedenti non proprio lusinghieri con Air One. Una cordata con quattro soci sarebbe dunque l’auspicio: Fs con il 35%, Delta con il 10-15%, Mef con il 15%, la società dei Benetton dovrebbe avere circa il 35%.

Perché la società di Ponzano Veneto si sia di nuovo mostrata disponibile è un po’ il mistero: già socia della vecchia Compagnia aerea italiana, i «volenterosi» di Berlusconi, ha già avuto modo di verificare quanto Alitalia rappresenti un pozzo senza fondo per chi ha la ventura di investirvi i propri capitali. Dal 1974 al 2017, secondo le stime dell’Osservatorio di Cottarelli dell’Università Cattolica, per lo Stato italiano gli oneri sono stati di 9,4 miliardi al netto delle vendite azionarie a suo tempo detenute. Alitalia è stata utilizzata dalla politica per le pratiche di sottogoverno. Questo ha creato un danno reputazionale alla compagnia, diventata sinonimo di spreco. Di certo la gestione clientelare ha portato alla scelta di manager inadeguati come Giancarlo Cimoli condannato per operazioni «abnormi e ingiustificate sotto il profilo economico e gestionale» con perdite tra il 2001 e il 2007 per oltre 4 miliardi di euro. Tutto questo ha portato a due errori strategici decisivi: non aver capito che con i low cost come Ryanair non aveva senso competere sulle brevi distanze. Era necessario concentrarsi sui grandi voli intercontinentali per aver margini di guadagno adeguati. Da qui la necessità di creare sinergie con nuove alleanze in grado di ridurre i costi ed avviare processi di riduzione delle spese. Ed è questo il motivo per il quale l’alleanza con Klm avviata con successo nel 1997 dall’allora amministratore Domenico Cempella viene affondata.

Alla politica e al suo sottobosco di raccomandati e di sinecure il taglio alle spese improduttive diventava indigeribile. Atlantia sa quindi cosa sia Alitalia e se ora accetta ancora di far la parte del salvatore della patria aviatoria è perché spera di trarre vantaggi da altre parti. Così sembra sia stato in passato quando le tariffe autostradali crescevano indisturbate e gli azionisti di Autostrade per l’Italia avevano il loro ritorno. Il controllo lacunoso da parte dello Stato sulla manutenzione delle infrastrutture si perde nei meandri dell’inefficienza amministrativa ma non è da escludere anche nella tolleranza benevola del supervisore . Il ministro Di Maio ha garantito che non vi siano contropartite nel contenzioso del crollo del ponte di Genova, ovvero niente scambi con i Benetton per le concessioni autostradali. Resta il fatto che vi sia un’evidente contraddizione: se Atlantia non è affidabile come gestore delle autostrade perché lo deve diventare di colpo per l’ex compagnia di bandiera.

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