Alitalia pubblica
ritorna il passato

Rilanciare l’Alitalia nazionalizzandola? È l’idea del Governo di Di Maio e Salvini, contro l’opinione del Governo del ministro dell’Economia Tria (quella del Governo del presidente del Consiglio, al solito, non è pervenuta). Come è ormai noto, l’ex vettore nazionale è in amministrazione controllata dal 2007 e perde – nonostante i vari rilanci che si susseguono dal fallimento del 2008 - mezzo milione al giorno, 100 nell’ultimo semestre. Dunque prima si interviene per frenare questa emorragia (ovviamente salvaguardando i posti di lavoro) e meglio è. Il ministro del Lavoro recentemente ha annunciato un piano strategico che permette di rilevare Alitalia attraverso una catena guidata da Ferrovie dello Stato, di cui fanno parte anche Cassa depositi e prestiti, un partner industriale di caratura internazionale e il Tesoro (con una partecipazione al 15 per cento). Ci sarebbe anche un fondo di investimenti americano pronto a rilevare la compagnia, ma a questo punto prevarrebbe il rilancio pubblico in salsa «sovranista».

Sul piano strategico l’idea non è poi male. Un piano industriale che metta insieme i due business permetterebbe di razionalizzare la rete dei grandi trasporti passeggeri: Ferrovie dello Stato (che ha già acquisito Anas) si concentrerebbe sulla tratta Milano-Roma e garantirebbe il raggiungimento dei due hub Fiumicino e Malpensa dalle grandi città, come Firenze o Napoli, mentre Alitalia punterebbe sulle rotte intercontinentali (partita non facile da giocare per la presenza dei low cost) abbandonando la concorrenza della tratta Milano-Roma, tratta che vede vincente l’Alta velocità ferroviaria.

Il problema è che in questo modo il «colosso» Ferrovie dello Stato avrebbe quasi il monopolio dei trasporti in Italia, per terra e per cielo, non solo sulla rotta Roma-Milano, in contrasto con il regime di libera concorrenza verso cui si era avviato il Paese a partire dagli anni ’90.

Il ritorno di Alitalia in mano pubblica è avversato dal ministro Tria, anche perché l’operazione costerebbe oltre due miliardi di euro. Oggi i vertici di Fs avranno la possibilità di esaminare da vicino i conti di Alitalia in modo da capire meglio lo stato di salute della compagnia e se l’operazione è conveniente.

C’è poi il problema del prestito ponte concesso sotto il governo Renzi di 900 milioni che andrebbe restituito entro il 15 dicembre. Oltretutto una commissione dell’Unione europea sta indagando se si è trattato di aiuti di Stato, in spregio cioè al regime di libera concorrenza. E non c’è nessun piano di ristrutturazione secondo le regole europee che possa giustificare il ricorso ad aiuti pubblici (anche perché il piano di ristrutturazione non si è visto).

Dunque la «road map» da qui al 15 dicembre è che Alitalia restituisca il prestito, si sgravi dei debiti caricandoli sulla «solita» bad company e venga conglobata nella «newco» insieme a Ferrovie dello Stato e agli altri enti. Tutto in perfetto stile partecipazioni statali anni ’80. Un ritorno all’antico voluto dalla nuova politica sovranista di questo governo. Che vede qualche oppositore, ma al momento sembra prevalere. In questo caso, come sempre avviene per Alitalia dal 2007, anche il rilancio «sovranista» verrà ampiamente pagato dai contribuenti.

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