Armamenti all’Ucraina, le crepe in Occidente

Mondo. L’Italia ha fornito un miliardo di euro di aiuti all’Ucraina. L’Olanda con 17 milioni di abitanti e una superficie come la Lombardia e il Veneto ha già dato un miliardo e mezzo. Al primo posto gli Stati Uniti con 73 e poi a seguire il Regno Unito con 8,3 e la Germania con 6,3 miliardi. Sono dati dell’Istituto per l’economia tedesco IfW di Kiel.

L’Italia non è mai stata guerrafondaia. Un recente sondaggio vede gli italiani per quasi il 50% incerti sul conflitto ucraino. Solidarizzano per le devastazioni e le perdite umane ma alla fine non capiscono perché le parti interessate non si siedano ad un tavolo e inizino a discutere. Nell’inconscio europeo rimane sempre il riflesso condizionato dell’Ucraina, parte del mondo slavo e quindi della Russia. E forse questo spiega quella sensazione di stanchezza che sembra attraversare l’opinione pubblica dell’Occidente un anno dopo l’inizio dell’invasione di Putin.

In Germania solo il 32% è disponibile ad aumentare gli aiuti militari, il restante 68% è per mantenere il livello di impegno così com’è o a diminuirlo. Ed è un atteggiamento trasversale ai partiti. Alla manifestazione svoltasi ieri a Berlino indetta da Sahra Wagenknecht, una politica della Linke, ma in aperto dissidio con il suo partito, hanno partecipato 50mila persone. Un popolo fatto di uomini e donne preoccupate per il rischio di un conflitto atomico e con una sola parola d’ordine: trattative. Vanno fatte tacere le armi e va data priorità al dialogo. Colpisce la presenza del tricolore italiano tra i manifestanti, segno evidente di un’empatia che va oltre la nazionalità. E tutto questo proprio quando l’Unione europea ieri ha reso noto il decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia e singole persone o imprese che per esempio forniscono droni per vie traverse all’esercito russo. Ursula von der Leyen sintetizza l’atteggiamento della Commissione con questa frase: assieme stiamo stringendo il laccio attorno alla Russia. Che però pare non accorgersi di questa minaccia. Ieri era in visita ufficiale in India il cancelliere Olaf Scholz ed ha dovuto constatare che il Paese ospitante ha quadruplicato le sue importazioni dalla Russia. Il guaio è che anche in Europa le cose non vanno come sperato. Prendiamo la Polonia, antiputiniana per eccellenza e in prima linea per gli aiuti all’Ucraina. Maciej Małecki, segretario di Stato per il patrimonio, ha dovuto ammettere che il suo Paese importa ancora 20mila tonnellate al mese di petrolio, il 10% del suo import petrolifero, dal nemico Putin. Si è scusato perché vi sono vincoli contrattuali con la russa Tatneft che vanno onorati. Nordstream 1 e 2 sono fuori uso ma gli altri gasdotti Transgas e Turkstream sono attivi e anche Lng russo, il gas naturale liquefatto, passa in Europa per 1.500 milioni di metri cubi al mese. Non è facile interrompere tutte le connessioni economiche quando entrambe le parti ne hanno vantaggio. Ma allora se i rapporti economici vanno avanti perché non cercare di trasformarli in occasione di dialogo? Questo il retropensiero dei molti in Occidente.

Anche gli Stati Uniti hanno nell’elettorato di Trump una certa tiepidezza verso le forniture militari all’Ucraina. La metà circa della base elettorale repubblicano pensa sia il caso di ridurre l’appoggio all’Ucraina. Lo stesso presidente Biden, che pur si è speso al punto di andare direttamente a Kiev per esprimere la sua solidarietà ha detto: avete conquistato una parte del mio cuore. Il presidente Kennedy nel lontano 1963 espresse la sua totale solidarietà con la famosa frase: «Ich bin ein Berliner» (Sono un berlinese). Viene in mente quanto scritto da una rivista tedesca per la guerra del Vietnam: i grandi giocano a poker e i piccoli crepano.

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