Brexit, è solo l’inizio
Le incognite aperte

Dopo 1.317 giorni di discussioni, polemiche, trattative, rotture, elezioni e stregonerie varie, la Brexit c’è. Da ieri alla nostra mezzanotte (le 23 per i cittadini britannici) l’Unione Europea e il Regno Unito non sono più parenti, nemmeno in quella forma dimezzata e tutta made in London che vigeva dal 1973. Si chiude l’era della filosofia e della politica e si apre quella delle cifre del commercio. La Ue e il Regno Unito, infatti, hanno da ora undici mesi per tramutare la separazione in divorzio e sistemare gli aspetti pratici: come regolare il traffico delle merci (il premier inglese Boris Johnson punta a un trattato di libero scambio) e come regolare i movimenti delle persone.

Ci sono nel Regno Unito, oggi, 3,6 milioni di residenti originari dei Paesi Ue (tra loro 700 mila italiani), mentre circa 1,2 milioni di inglesi vivono nell’Europa comunitaria. Che sarà di loro? Per i prossimi undici mesi tutto come prima, ma dal 2021 ricompariranno visti, passaporti, vincoli per lavorare all’estero e tante altre cose che credevamo scomparse.

L’Ue, dalla mezzanotte, ha perso 66 milioni di cittadini (tanti sono gli inglesi) e il 5,5% del suo territorio pre-Brexit. Ma questo, ovviamente, è il meno. La Brexit, in realtà, arriva a certificare una perdita di slancio e di peso che l’Unione Europea si trascina da tempo e a cui non riesce a rimediare. I vari «populismi» di cui tanto si discute, compreso quello che ha portato alla Brexit (ed è comunque stato sposato da una forza iperistituzionale come il Partito conservatore), sono la conseguenza di quella stanchezza, non la sua causa. Per la prima volta la Ue, invece di allargarsi come ha fatto per tutta la sua storia, si restringe. Comunque si giri la questione, questo qualcosa vuol dire. Si capisce anche che, al di là delle dichiarazioni di facciata di Bruxelles, l’uscita del Regno Unito lascia più di qualche inquietudine. Che faranno gli inglesi, adesso? Si getteranno nelle braccia degli americani, ovvio. Persino più che in passato. Ma di questi americani? Di quelli rappresentati da Donald Trump, che minaccia di randellare l’Europa con i dazi sulle automobili? Non è un bel pensiero per un’Europa che ogni tanto si sente come un pollo bello grasso sotto gli occhi della volpe cinese e di quella americana.

E gli inglesi? Che sarà di loro? Diciamolo francamente: la speranza di milioni di francesi, italiani, tedeschi, spagnoli e irlandesi è di vederli un giorno tornare con la coda tra le gambe, pronti ad ammettere di aver fatto un clamoroso errore. Non succederà. Ma le incognite sono alte anche per loro. Al momento del referendum che li ha avviati sulla strada della Brexit, nel giugno del 2016, quella inglese era l’economia più solida e vivace del continente. Per questo Boris Johnson vorrebbe un trattato che, almeno dal punto di vista delle attività commerciali e finanziarie, lascerebbe quasi tutto com’era. Lo otterrà? E in caso contrario, l’abbraccio del pitone americano non potrebbe risolversi per gli inglesi, nel medio periodo, con una sostanziale perdita di sovranità economica e politica?

Vedremo. Perché una cosa è chiara: l’avventura della Brexit è solo all’inizio. E se il buongiorno si vede dal mattino, cioè da quanto è stato difficile anche solo firmare le carte…

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