Che bello sarebbe
abbracciarvi tutti

Correva l’anno… Be’, sì l’anno correva. Mica tanto invece il treno che presi a Bellano per scendere a Lecco e poi, da lì, salire su quello che mi avrebbe scaricato a Bergamo in una bella giornata di primavera. Tanto per essere precisi nemmeno questo secondo correva troppo. Tuttavia, come si dice, l’importante è arrivare in tempo e io ce la feci a non bucare il mio primo grande appuntamento pubblico dopo una discreta gavetta alla scoperta di sino ad allora ignote periferie. Correva l’anno quindi ed era quello di «Una finestra vistalago», romanzo che mi aveva fatto guadagnare l’invito alla fiera di Bergamo.

Non mi pareva vero di poter emigrare insieme con la mia storia oltre i confini di questo lago dal profilo così umano. E soprattutto di poterlo fare in una terra di cui conoscevo la generosità, avendovi già da tempo stretto solide amicizie. Ero tranquillo quindi, sentendomi un pochino di casa e lontano da me il pensiero che stessi affrontando una sorta di esame.

Ma gli esami non finiscono mai e ne ebbi ulteriore conferma al termine della chiacchierata quando dal pubblico mi si fece incontro un’incredibile testa di capelli con al centro uno sguardo azzurro, mooolto bergamasco !, e un sorriso di soddisfazione. Stavo per guadagnare un nuovo amico in quella terra: il ( l’articolo è d’obbligo ) Giorgio della libreria «L’altro mondo di Seriate» che, con piana sincerità, mi disse che era appositamente venuto ad ascoltarmi per testare la mia capacità di dialogare con il pubblico e di conseguenza potermi coinvolgere in altri eventi da lui coordinati. Correva l’anno e non voglio pensare a quanti anni abbiano fatto lo stesso da quella volta. Preferisco piuttosto che a scandire il passare del tempo da quel primo impatto col «Sentierone», espressione che appresi quella volta, siano piuttosto i volti delle persone con le quali ho stretto ulteriori legami cementati da schiettezza e generosità.

Da qui un primo sentimento di particolare attenzione e doloroso stupore quando ho visto che il flagello del virus si è particolarmente accanito su quella terra. E un secondo, inizialmente sopito, ma che si è fatto via via strada, quello dell’impotenza, come se mi fosse proibito di ritornare a casa. Proprio, casa. Già, perché lungo questi anni che hanno continuato a correre il mio legame con la terra bergamasca si è ulteriormente stretto al punto che adesso mi sento un po’ parente o quantomeno affine. Un libro anche in questo caso a far da garante al contratto, quale il suo titolo non lo so dire. Viatico però, passaporto per aprirmi le porte della val Seriana per salirvi fin quasi in cima ed entrare nel mondo appartato e vivace della comunità psichiatrica di Piario. Ospite, amico (ma mi starebbe bene anche quale ricoverato in un certo senso ) per toccare con mano la stessa generosità, l’uguale schiettezza, l’abnegazione di chi ci lavora e il riflesso di tutto ciò negli sguardi di coloro che sono oggetto di cure.

Anche quest’anno che è iniziato avrebbe dovuto correre come gli altri, avrebbe dovuto vedermi correre ( nel rispetto dei limiti s’intende ! ), lungo la tangenziale e poi nel fondovalle e infine imboccare la rotonda che inneggia all’Atalanta e spinge verso quell’alta val Seriana raggiunta la quale avrei cominciato a fare progetti con i ragazzi di Piario. Niente da fare invece, il virus mi ha chiuso fuori casa. E, ciò che è peggio, mi ha impedito di condividere con la presenza il dolore per chi, anche lassù, ha dovuto soccombere alla malattia. Scarna consolazione le immagini televisive, apposta silenziate, per associarmi alla colata di silenzio stesa su quella terra, su quella strada, su quella dignitosa disperazione. Ma non compensa la mancanza di un gesto che a mio giudizio riassume tutto l’affetto che le parole non sanno dire, l’abbraccio silenzioso e stretto stretto.

Che bello sarebbe poter riabbracciare, adesso, il Giorgio, il Sentierone, la fiera coi suoi librai, tutta la terra bergamasca insomma, lasciandomi indugiare un po’ di più sulla mia val Seriana. Correva l’anno appunto, e mai avrei pensato che un giorno avrei dovuto coltivare nostalgia per una terra che non fosse quella dove sono nato e cresciuto.

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