Compagnie aeree
L’Italia è debole

Pare che il governo sia «irritato» (testuale) per il triste epilogo di Air Italy. In realtà chi dovrebbe esserlo davvero sono i 1.200 dipendenti che rimarranno senza lavoro, a meno di colpi di scena. Le voci di un possibile interessamento di Ryanair si sono rivelate la classica boutade, probabilmente agevolata dagli irlandesi medesimi, da sempre abili ad attirare l’attenzione volando a metà tra provocazione e business ma, alla prova dei fatti, molto attenti a non uscire dal proprio ben determinato orizzonte. Per giunta vincente, numeri alla mano.

C’è chi si è messo a fare i conti delle compagnie italiane rimaste a terra in questi ultimi anni: 14 dal 2000. Con sullo sfondo il colossale punto interrogativo di Alitalia che da sola vale tutto il mazzo. Una fotografia tanto impietosa quanto reale, e per metterla ulteriormente a fuoco bisogna forse fare un passo in avanti. Uscire cioè dalla retorica fintamente patriottica di un Paese che deve avere una compagnia di bandiera per sentirsi tale e arrivare all’assunto opposto: questo risultato è frutto di un Paese e di una politica che non sa (o non vuole) più decidere.

E gli ultimi sviluppi della vicenda Alitalia, con le dimissioni in massa dei commissari straordinari e l’ennesimo prestito ponte del dicembre scorso, sono lì a confermarlo. Ora, bontà sua, il ministro Gualtieri, manda a dire che non ce ne sarà uno ulteriore e che si sta lavorando per trovare una soluzione con partner internazionali. Di certo, per usare le parole di David O’Brien, Cco Ryanair, «sarebbe più facile leggere in russo tutto Dostojevski che capire quello che sta succedendo».

In realtà i cieli italiani ci rimandano l’immagine di un Paese sempre più debole che non ha (mai) capito che per volare non basta un aereo o una compagnia, ma serve una filiera completa, una politica di sistema. Non è un caso, per esempio, che l’Italia sia rimasta fuori dal consorzio Airbus o che gli assetti degli altri Stati si basino su un sostanziale equilibrio tra compagnie e società di gestione aeroportuali, dove ad ogni azione corrisponde una reazione. La spagnola Ferrovial scala Baa, società che gestisce diversi aeroporti inglesi, Heathrow in testa? La perfida Albione reagisce con Iag e la fusione tra British e Iberia che di fatto è un mezzo shopping in terra iberica. Un colossale Risiko dove vince chi decide e chi ha un sistema alle spalle e, purtroppo, non è il caso dell’Italia.

Nel giro di 20 anni i passeggeri nel Belpaese sono più che raddoppiati e cresceranno ancora a tassi sostenuti. Il mercato c’è, manca una politica industriale chiara: strategie, investimenti, visione. Lo si è visto nelle puntate più recenti di Alitalia, dove si è deciso di non decidere. Al di là delle valutazioni sulla bontà della possibile partnership con il Gruppo Ferrovie, resta il fatto che quest’ultimo è di proprietà del ministero del Tesoro e il controllo in mano a quello dei Trasporti. Come dire che c’erano tutti gli elementi per poter scegliere, invece di rimandare ulteriormente l’agonia in attesa di non si sa bene cosa. O chi.

Un contesto che ha finito per travolgere anche Air Italy che in due anni di attività ha perso praticamente come Alitalia, seppure con volumi di traffico ben differenti: probabilmente la partecipazione di Qatar Airways era finalizzata ad una penetrazione nel mercato dei voli per gli Usa, dove le compagnie del Golfo sono viste come il fumo negli occhi, ma anche in questo caso senza una visione chiara non si vola. O meglio, lo fanno le compagnie low cost che in questi anni sono diventate protagoniste assolute: sono loro ad aver assorbito la crescita dei passeggeri in Italia. Anche negli altri Paesi europei, vero, ma lì esistono compagnie o alleanze forti che controllano il traffico intercontinentale, ovvero lo scenario mondiale dove tutto si muove. Quello nel quale l’Italia entra ormai dalla porta di servizio, passando necessariamente per i veri hub europei: Francoforte, Amsterdam, Parigi, Madrid, Londra. Perché se un Paese non sa (o non vuole, o non può) decidere, lo fanno gli altri per lui.

© RIPRODUZIONE RISERVATA