Crisi del clima
È l’ora di agire

«Mercanti di dubbi». È il titolo del libro di due studiosi americani, Naomi Oreskes e Erik M. Conway, che spiegano come un manipolo di scienziati, per decenni, abbia confuso le carte sul riscaldamento globale per motivi miopemente economici, così che l’umanità ha perso tempo prezioso in inutili dibattiti. Com’era già accaduto prima di avviare azioni decisive per contrastare la pericolosità del fumo. Anche la 25a Conferenza delle Nazioni Unite sul clima a Madrid è stata l’ennesima delusione. Troppi interessi in gioco continuano ad ostacolare l’inevitabile transizione, anche se sappiamo già tutto da decenni. Il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, ieri sera ha dichiarato: «I negoziati sono ancora lunghi. Per ora abbiamo una bozza di documento, importante perché è una base concreta di confronto. Comunque noi, i Paesi dell’Unione Europea, stiamo facendo il coordinamento che porti a una posizione unica, per arrivare a una voce unica». «Spingiamo verso un innalzamento delle ambizioni – ha aggiunto – consapevoli che i Paesi in via di sviluppo chiedono un aiuto complementare». Di circa 50 miliardi di dollari. Uno dei nodi consueti delle Conferenze sul clima. È innegabile, del resto, come esista un debito ecologico dei Paesi più ricchi, che hanno costruito il proprio benessere sui combustibili fossili, le cui emissioni, però, danneggiano l’intero pianeta.

Anche i politici, non solo la comunità scientifica, conoscono la situazione già da decenni. Il primo rapporto a un presidente americano sul tema risale al 1979: alla Casa Bianca c’era Jimmy Carter. L’aumento di CO2 nell’atmosfera, dovuto principalmente alla combustione di carbone, petrolio, gas, causa il riscaldamento globale e la conseguente crisi climatica. È semplice come una banale formula chimica. Se vogliamo che la temperatura media mondiale, già salita di almeno 1 grado, non cresca ulteriormente, non abbiamo alternative: dobbiamo tagliare drasticamente le emissioni, passando alle fonti rinnovabili.

L’Accordo di Parigi, firmato da 196 Paesi e da cui Donald Trump ha portato fuori, sciaguratamente, gli Stati Uniti, risale a quattro anni fa: stabilisce di mantenere l’aumento della temperatura globale molto al di sotto dei due gradi rispetto ai livelli pre-industriali e il più vicino possibile a 1,5 gradi. Ricordiamo che, anche se si rispettasse Parigi, si supereranno nel 2100 i 3 gradi, non si arriverà ai 2, tanto meno all’auspicabile 1,5. I Paesi devono correggere il proprio contributo al rialzo, mai al ribasso, per recuperare quello che manca. A Madrid il principale elemento di scontro politico ha riguardato proprio l’impegno dei governi di rivedere e aumentare entro il 2030 gli attuali obiettivi di taglio di emissioni.

Anche la «Laudato si’» di Papa Francesco è stata pubblicata già nel 2015: ci ricorda che «questo secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di distruzioni senza precedenti degli ecosistemi, con gravi conseguenze per tutti noi». Il Papa ci richiama alla conversione ecologica, a considerare il pianeta come patria e l’umanità come popolo. L’opposto degli sterili sovranismi oggi così diffusi. L’ecologia integrale pensa all’ambiente perché parte dal rinnovamento del cuore dell’uomo, come ha dimostrato anche il recente Sinodo sull’Amazzonia, il polmone del pianeta.

Finora, però, si procede ancora, come dichiarano gli scienziati, «business as usual», compiendo, perlopiù, «affari come al solito», basati sulle fonti fossili. António Guterres, segretario generale dell’Onu, ribadisce, ogni volta in cui prende la parola, come non ci sia più tempo da perdere. Purtroppo è a capo di un’istituzione che non ha alcun potere reale. Anche nell’anno della mobilitazione di milioni di persone in tutto il mondo grazie ai «Fridays for Future» ispirati a Greta Thunberg, non è avvenuta nessuna vera svolta. Sbaglia chi giudica l’ambientalismo una sorta di «nuova religione» come, con snobismo, qualcuno scrive. Nessuno vuole mettere la giovanissima attivista svedese sull’altare: certamente non noi. Greta è intervenuta proprio ieri per la seconda volta in Italia, a Torino dopo Roma nell’aprile scorso. Con parole come sempre schiette e dritte al punto: «Il domani delle giovani generazioni non può essere dato per scontato, dipende da noi, dobbiamo lottare per questo futuro». Ma non bisogna confondere la crisi climatica, nota da decenni, con Greta. «Persona dell’anno» per «Time»? Bene.

Il mondo, però, ha bisogno non di palme d’alloro, ma di fatti concreti, come il «Green New Deal» annunciato da Ursula von der Leyen, la presidente dalla Commissione Europea. E anche negli Usa ci sono Stati, città e imprese che procedono nella giusta direzione. Non c’è solo Trump.

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