Demagogia contro
i fondi dell’Europa

Dall’avvio della cosiddetta «fase 2» le pagine dei quotidiani e gran parte dei dibattiti televisivi riservano talvolta apprezzamenti, altre dure critiche alle misure adottate dalla Ue per superare l’attuale pesantissima crisi economica e sociale. Le critiche partono spesso da una scarsa conoscenza delle caratteristiche degli interventi e degli scopi cui sono destinati. Guardando al medio e lungo termine, l’operazione lanciata dalla Commissione europea con il «Next Generation Ue» (Recovery Fund) rappresenta un’opportunità di enorme rilievo che vuole porre delle fondamenta più ambiziose per l’Europa della prossima generazione. Il piano, che alcuni Paesi sono ancora restii ad autorizzare, vale 750 miliardi di euro di cui 500 a fondo perduto, finanziati con l’emissione di un debito garantito da tutti i Paesi europei.

All’Italia andrebbero circa 81,8 miliardi di euro a fondo perduto e 90,9 miliardi di prestiti a tassi vicini allo zero. Le critiche rivolte a questo provvedimento si spingono fino a negarne la necessità, sostenendo che le risorse arriveranno solo nella primavera del 2021, ossia troppo tardi. Questa posizione dimostra una sostanziale incomprensione dello scopo strategico dell’intervento che non è indirizzato all’immediato sostegno di famiglie e imprese, ma si propone di finanziare piani d’investimento nazionali che rispondano agli obiettivi di ripresa di ogni Stato membro nel quadro di una strategia di sviluppo basata su «Green Deal» ed economia «digitale». Un anno rappresenta un intervallo di tempo oltremodo utile per definire progetti specifici e per individuare gli strumenti attuativi necessari per utilizzare al meglio le risorse assegnate.

Piuttosto che lamentarsi per la tempistica europea, ci si dovrebbe preoccupare che il governo si impegni con sollecitudine per redigere progetti seri che siano in grado di essere autorizzati e portati a termine, contrariamente a quanto avvenuto in molti casi nel passato. Ad altre misure europee, sotto forma di prestiti a tasso agevolato, è affidato il compito di accrescere le disponibilità di ogni Paese membro per far fronte al drammatico impatto economico e sociale della pandemia. Come noto, tra marzo e maggio il nostro governo ha emanato tre decreti per complessivi 85 miliardi, anche se per la loro attuazione si stanno scontando ritardi burocratici incomprensibili che dovranno essere al più presto colmati.

Tali provvedimenti sono stati resi possibili dalla sospensione dei vincoli europei di bilancio, che hanno consentito un consistente aumento del deficit. Inoltre, un notevole aiuto alle nostre possibilità di spesa ci è derivato dagli interventi della Bce in acquisto di nostri titoli in scadenza, che sono andati, con il 30%, ben al di là della nostra quota di partecipazione al capitale della Banca (15%). Senza questi interventi lo spread sarebbe salito a livelli insostenibili. In aggiunta agli interventi del governo c’è poi la possibilità di accedere a circa 100 miliardi di prestiti agevolati europei attraverso: il «Sure», acronimo di «Support to mitigate unemployment risks in an emergency», che rappresenta una specie di cassa integrazione europea; il fondo Bei, destinato a fronteggiare i fabbisogni di liquidità delle imprese agevolandone la ripresa; il Mes, la cui unica condizione, dopo le conseguenze del Covid-19, è che i finanziamenti siano destinati a finanziare spese per investimenti direttamente o indirettamente connessi alla sanità.

In questi giorni si è acceso un aspro dibattito sulla convenienza di accedere a quest’ultimo finanziamento (fino a 36 miliardi in dieci anni allo 0,1%). C’è chi sostiene che l’Italia, se lo utilizzasse, andrebbe incontro ad un giudizio negativo dei mercati finanziari, visto che Germania e Francia non lo utilizzeranno. Chi lo afferma dimentica che Germania e Francia possono finanziarsi direttamente sul mercato a tassi negativi o nulli, cosa che non vale per l’Italia, visto che i tassi dei Btp sono ben maggiori dello 0,1%. Il Mes, oltre a consentire un grande piano di rafforzamento delle strutture sanitarie e di sostegno alla ricerca, sarebbe di aiuto concreto alle imprese per la ristrutturazione degli ambienti di lavoro anche a fini di sicurezza sanitaria.

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