Economia rotto il filo
L’autunno sarà gelido

I nodi stanno per venire al pettine. L’impatto sarà brusco. Siamo ancora protetti da un potente anestetico, ma per l’economia in crisi l’autunno sarà gelido. E le conseguenze saranno sociali. È vicino il momento in cui verranno tolte le reti dell’emergenza: blocco dei licenziamenti, cassa integrazione senza limiti, blocco degli sfratti, attenuazioni varie dei debiti privati, blocco dei fallimenti. Lo sanno già bene quelli che la cassa integrazione non l’hanno ancora ricevuta. Hanno finito le riserve e ridotto ai minimi i consumi, sono sull’orlo della povertà vera.

E pensare che quanto meno hanno dei diritti da rivendicare. Altri non sanno neppure cosa sia la cassa integrazione e possono solo rinviare il pagamento dei mutui e degli affitti, ormai anche delle bollette. Una comunità variegata in apparenza sommersa è appesa ad un filo. Quando si spezzerà verrà giù lo Stato sociale, che non può reggere una pressione del genere. In mezzo ad una strada c’è già il milione di dipendenti a termine, come voluto dalla legge Di Maio, quella della «dignità».

Contrasta con tutto questo la pioggia di miliardi europei. Per fortuna non abbiamo fatto l’Italexit che la maggioranza degli elettori ha votato più o meno consapevolmente alle ultime politiche. È servita per fare un governo di color gialloverde, ma, un anno dopo, le urne hanno salvato a malapena una maggioranza europeista a Strasburgo. È la confermata leadership di Merkel&Macron, che ha prodotto 210 miliardi per l’Italia. Ma i miliardi non sono lì per stendere altre reti di protezione, assistere questo e quello, sussidiare gruppi sociali e tanto meno clientele. Devono essere usati secondo i principi dell’economia di mercato che a Bruxelles sono ancora vivi: investimenti per il medio e lungo termine, creazione di lavoro non immaginario, sviluppo della modernità come digitalizzazione, sostenibilità, difesa del territorio, innovazione, ricerca. Gli effetti non si vedranno subito, e l’iniziale Recovery si chiama oggi Next generation, rivolgendosi ai giovani non per indebitarli ma per dargli strumenti di crescita.

Per il sostegno immediato dovrebbero invece provvedere i 100 miliardi di debiti deliberati in casa nostra. Lì c’è di tutto, e molti ce li siamo già mangiati. L’ottica è quella del presente: evitare il crollo, con un deficit salito del 10% e un debito fino al 160%. E pensare che a inizio anno discutevamo sul +0 e qualcosa di Pil e sul debito piatto, dopo l’impennata per quota 100 e reddito di cittadinanza… L’unica cosa che non è mancata dopo l’esplosione del Covid sono i soldi. A livello mondiale si parla di 18 mila miliardi di dollari, per fronteggiare una crisi che a fine 2021 sarà costata 12 mila miliardi. Tutto dipende da come si spende la montagna 18 e come non far crescere la montagna 12. E qui occorrono classi dirigenti di altissimo spessore. Altro che seguaci delle scie chimiche. Perché spendere male è peggio che non avere i soldi.

Un’idea di quello che può accadere ce lo dicono gli Usa, Paese in cui tutto è più rapido e che di solito prefigura quanto accadrà poi in Europa. Nel 2019, gli americani che vivevano con sussidi di disoccupazione erano 1,6 milioni. Oggi sono 30 milioni e ad agosto sono stati dimezzati i 600 dollari a settimana. Il Pil Usa è crollato nel secondo trimestre del 31,7%. I ristoranti che hanno chiuso a New York sono già 1.500, gli appartamenti sfitti a Manhattan 13 mila. Tutto l’apparato pubblico è in apnea miliardaria. Il 52% dei millennials Usa è tornato a vivere con i genitori. Il petrolio fornito dal fracking non è più competitivo. Altro che America first. L’effetto è quello del domino. Se i giovani e i lavoratori attivi non consumano, non pagano affitti, non risparmiano (se mai accumulano carte di credito), se gli smart workers non vanno più in centro città, se i grattacieli sono vuoti, i negozi sono deserti e funziona solo l’e-commerce magari a debito, le metropolitane producono solo deficit municipali, l’economia va a picco.

L’Europa e l’Italia seguono a ruota. Non siamo tanto diversi. Speriamo di evitare la seconda ondata sanitaria, ma non è ancora arrivata la prima ondata economica e sociale.

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