Galileo, la scoperta
e la curiosità

Non ci possono essere dubbi. Una delle più prestigiose riviste scientifiche del mondo, «Nature», in un articolo pubblicato ieri ha convalidato la scoperta di un team di ricerca dell’Università di Bergamo. Un nostro giovane ricercatore, Salvatore Ricciardo, ha ritrovato negli archivi della Royal Society di Londra un importante manoscritto di Galileo considerato irrimediabilmente perduto: la versione originale della celebre «Lettera a Benedetto Castelli» del 21 dicembre 1613.

In questa lettera di inestimabile valore, Galileo esponeva per la prima volta le sue idee sui rapporti tra scienza e religione, difendeva il sistema copernicano dalle accuse di inconciliabilità con la Bibbia e rivendicava la necessità di una fondazione autonoma della ricerca scientifica. La scoperta di questo manoscritto, forse la più importante negli studi galileiani degli ultimi decenni, è avvenuta quasi per caso.

È quello che gli inglesi chiamano serendipity: trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un’altra. Un team di ricerca del nostro Ateneo, coordinato da Franco Giudice, che si occupa da tempo della fortuna di Galileo in Inghilterra, ha incaricato Ricciardo di effettuare delle ricerche presso le biblioteche inglesi per verificare se tra le opere galileiane che si trovano conservate, fossero presenti commenti e rilievi critici che ne attestassero la lettura da parte dei contemporanei. Ma nel corso di questo lavoro Ricciardo si accorge che la Royal Society possiede una lettera di Galileo a Castelli.

Capisce subito che ha per le mani qualcosa di davvero speciale, e ottenuto il permesso di fotografarla la invia a Franco Giudice, che a sua volta coinvolge il collega Michele Camerota dell’Università di Cagliari. E dopo accurate e ben ponderate verifiche, i tre studiosi hanno stabilito che la lettera conservata alla Royal Society è senza alcun dubbio di mano galileana.

Una scoperta quindi frutto di pervicacia, passione e soprattutto «curiosità», grazie alla quale i nostri ricercatori hanno scommesso di approfondire nel contesto inglese la fortuna delle opere di uno dei padri fondatori della scienza moderna. Il documento ritrovato dimostra che Galileo ha corretto alcune frasi con cui aveva originariamente scritto la lettera, per evitare l’ira dell’Inquisizione, così come un forte richiamo alla libertà della ricerca scientifica: «Ma richiedendo io ancora, che la medesima determinazione vaglia per me, sì che l’avversario non presumesse di legar me e lasciar sé libero quant’al poter alterar o mutar i significati delle parole; io dico che questo luogo ci mostra manifestamente la falsità e impossibilità del mondano sistema Aristotelico e Tolemaico, e all’incontro benissimo s’accomoda col Copernicano». Ma questa scoperta ha qualcosa di davvero incredibile, poiché era praticamente sotto gli occhi di tutti, come nel celebre racconto «La lettera rubata» di Edgar Allan Poe: serviva però uno sguardo attento, «curioso» appunto, che non desse nulla per scontato, nemmeno ciò che poteva sembrare ovvio. È in ciò, credo, che debba anche consistere la nostra missione accademica: insegnare e ad avere sempre prospettive diverse anche sugli stessi documenti, fatti o relazioni che già conosciamo. Mantenere la curiosità nei confronti del sapere è la nostra sfida. Una sfida che, come in questo caso, ha portato i suoi frutti. Una sfida comune e condivisa. Una sfida che richiede senz’altro impegno, dedizione e capacità di collaborazione dialogica.

L’Universitas, infatti, è una comunità di sapèri che convivono in armonia, un luogo di comunicazione e di circolazione del pensiero attraverso le relazioni personali. In ragione di ciò, la nostra Università da sempre crede molto nell’interdisciplinarità, intesa epistemologicamente come la collaborazione fra discipline diverse o fra settori eterogenei atte a divenire interazioni vere e proprie, reciprocità di scambi, tali da determinare mutui arricchimenti, volti alla costituzione di un sistema strutturale senza frontiere stabili tra discipline. Ma soprattutto, tra persone.

Nel portare il mio saluto alle matricole, pochi giorni fa, ho evidenziato come non ci si debba far ingannare dai falsi miti che profetizzano ai più giovani un successo veloce ed immediato, che non richiede alcun sacrificio. Ho esortato i nostri giovani studenti ad essere curiosi e consapevoli. Curiosi di imparare nuove discipline, di apprendere nuovi saperi, ma soprattutto di com-prendere il mondo che li circonda. Ma anche consapevoli che l’Università, e in genere il mondo della formazione, serve innanzitutto a formare non specialisti, ma persone.

La stessa curiosità e lo stesso stupore che il nostro giovane ricercatore ha sperimentato di fronte alla lettera di Galileo: è arrivato a quella lettera dopo un percorso di formazione e studio preciso, accompagnato dall’autorevolezza e dall’entusiasmo del suo supervisore e dei suoi colleghi. Senza questa condivisione di idee e conoscenze, forse quella lettera non l’avrebbe mai vista, nonostante fosse sempre stata a portata di sguardo. Un’ultima osservazione. Questa scoperta rientra nel campo delle discipline umanistiche, ma è una scoperta «scientifica» a tutti gli effetti. E non è quindi un caso che a darne per prima notizia e ad attestarne la veridicità sia stata proprio «Nature».

*Rettore dell’Università degli studi di Bergamo

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