Governo, in Europa
sempre più soli

La maggioranza e il governo si trovano a combattere su tre fronti: due esterni e uno interno. Una condizione, diciamo, non proprio ideale. La prima battaglia è con la Commissione europea la cui contestazione alla manovra economica dell’Italia ha assunto toni formali di eccezionale durezza: «Una deviazione senza precedenti nella storia dell’unione finanziaria» è scritto nella lettera che ci è stata inviata. Contiene la richiesta di spiegazioni e modifiche entro una settimana, oltre la quale scatterà – ma sembra già deciso – la bocciatura vera e propria, l’apertura della procedura di infrazione con annesse le contromisure punitive.

La lettera della Commissione è firmata dal vicepresidente Dombrovskis ed è stata illustrata personalmente dal collega francese Moscovici al ministro Tria e al presidente della Repubblica Mattarella. Il presidente del Consiglio Conte a Bruxelles per il vertice dei Capi di Stato e di governo ha ostentato per tutta la giornata sicurezza e serenità, nonostante si moltiplicassero le dichiarazioni dei partner che erano autentici capi d’accusa all’Italia. E chi si aspettava, per fare un esempio, la solidarietà del «sovranista» cancelliere austriaco Kurz, è rimasto gelato: «Non saremo noi a pagare i conti dell’Italia».

Frasi simili dal premier olandese Rutte, dal presidente della Commissione europea Junker («Basta flessibilità all’Italia, hanno già speso trenta miliardi») e da altri partner. Non però dalla Merkel e Macron che hanno evitato di ripetere in pubblico gli avvertimenti inequivocabili lanciati a Conte nel corso degli incontri a quattr’occhi.

Secondo fronte: i mercati. Lo spread è arrivato a quota 320. Se si va avanti con lo scontro, è fatale che aumenti. Si è detto che quota dei quattrocento punti è la trincea finale: non sarà difficile arrivarci. Mario Draghi ha messo in guardia tutti dai pericoli di una situazione che potrebbe precipitare ai livelli del 2011. Per questo l’Italia va fermata prima. Prima almeno che arrivi a fine mese il verdetto delle agenzie di rating che quasi certamente declasseranno il nostro debito pubblico ad un millimetro sopra il livello spazzatura (quello che impedisce, per esempio, ai fondi pensione di acquistare titoli troppo rischiosi).

Terza battaglia: quella interna tra leghisti e grillini. Mentre l’Europa e i mercati ci bastionano, a Roma i due partner di governo litigano sul decreto fiscale e arrivano ad un passo dalla rottura. La scena è nota: Di Maio è andato in televisione per denunciare di essere stato turlupinato e vuole che il decreto cambi nella parte «condono»; Salvini risponde a brutto muso che quel testo è stato votato all’unanimità e non si modifica, se i grillini non capiscono quello che firmano peggio per loro; Conte vuole riunire una nuovo Consiglio dei ministri anche se Salvini è contrario: «Il presidente del Consiglio sono io», dichiara l’«esecutore» di Palazzo Chigi. Come andrà a finire non si sa: se il governo vuol rimanere in piedi un compromesso va trovato per forza. In questo momento, con la bufera che sta investendo l’Italia e che potrebbe portarci in pochi giorni sull’orlo del baratro finanziario, non conviene a nessuno sovrapporre una crisi politica. Sarebbe come chiamare la Troika perché venga a rimettere ordine in casa nostra.

In tutto ciò si fa vivo anche Mattarella e ricorda che lui non si intromette nelle scelte economiche del governo ma rivendica il suo ruolo di tutore della Costituzione e quindi anche della stabilità dei conti della Repubblica e del risparmio degli italiani. Qualcuno comincia a pensare che il Capo dello Stato potrebbe addirittura non firmare la legge di Bilancio ma è presto per fare una ipotesi tanto azzardata. Forse però per la prima volta nel suo settennato Mattarella potrebbe abbandonare lo stile riservato cui ha improntato la sua presidenza.

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