I nomi di Draghi e Casini
ci sono, ma Montecitorio
resta nella nebbia

La situazione è ancora confusa ma qualcosa si sta muovendo. Non che ci si aspettasse un risultato alla prima votazione, e probabilmente neanche alla seconda e neanche alla terza, ma le ore che ci separano dal momento in cui, al quarto scrutinio, sarà necessaria una maggioranza più bassa per eleggere il Capo dello Stato potrebbero far emergere quell’accordo politico che ancora manca. Manca perché per avere Draghi presidente occorre dare garanzie a tutti sul nuovo governo e sulla durata della legislatura. Altrimenti i nodi non si sciolgono. Da quello che si sa, finora il presidente del Consiglio si era rifiutato di avviare una trattativa con i partiti sul «dopo», alimentando così dubbi, sospetti e contrarietà.

Ieri pomeriggio, mentre era in corso la prima chiama, si è saputo invece che l’inquilino di Palazzo Chigi aveva avuto colloqui con Salvini (di persona) e con Enrico Letta (al telefono) e sicuramente con qualcun altro di cui non si sa nulla. Quindi si è come materializzata, finalmente, nell’agone quirinalizio, anche la figura di Mario Draghi rimasta finora in una posizione di altera superiorità, cosa che ha irritato moltissimo i partiti. Di cosa si è parlato in questi colloqui? Non si sa, però Salvini e Letta assicurano che un dialogo si è avviato. Neanche il tempo di rallegrarsi nei talk show in onda nel pomeriggio, che in serata è arrivata la doccia fredda del leader leghista che è tornato a parlare della imminente presentazione della «rosa di nomi del centrodestra unito». Come dire, la candidatura di Draghi ha fatto due passi in avanti e uno indietro.

C’è da dire che si è finalmente materializzata anche un’alternativa credibile al presidente del Consiglio, quella di Pier Ferdinando Casini, spinto da Renzi e parecchi centristi. Un nome che sembra fatto apposta per quadrare il cerchio: ex leader di un partito di centrodestra ma attualmente eletto col centrosinistra, cattolico ma «aperto», qualunque cosa questo voglia dire, ex presidente della Camera unanimemente stimato per l’imparzialità e il senso istituzionale, solidi rapporti internazionali soprattutto con i tedeschi e con gli americani, uomo dialogante per natura, storia, cultura. Certo politico-politico, non un giurista e nemmeno un economista, ma grandissimo animale di Palazzo dove staziona da quando, a 27 anni, studiava da leader alla scuola dei democristiani di una volta.

Che Casini fosse in campo si sapeva da tempo ma ora che comincia a prendere quota il suo nome, può funzionare da propellente per la corsa di Draghi. Perché? Perché lo spinge a muoversi e ad aprire trattative, appunto. Bisogna vedere come le fa, beninteso, e dalla nota serale di Salvini non sembra che il dialogo abbia portato molti frutti tant’è che subito se ne sono rallegrati quelli, come Giuseppe Conte, che temono Draghi al Quirinale. Lo temono perché pensano che significherebbe la fine anticipata della legislatura con la «messa in libertà» di un Movimento Cinque Stelle in crisi profondissima di consensi elettorali. Senza contare che anche dentro il Pd Draghi ha i suoi nemici. Per esempio anche Franceschini potrebbe apprezzare la candidatura di Casini, suo corregionale e compagno ai tempi del Movimento giovanile della Dc negli anni ’70.

La domanda che dobbiamo farci è: basteranno le giornate di oggi e domani per diradare la nebbia che avvolge Montecitorio? Difficilissimo rispondere. Come è noto la corsa per il Quirinale non ha limiti di tempo: finisce quando c’è il risultato che arriva quando arriva. Oltretutto, causa Covid, si sta votando una sola volta al giorno, e non due come da tradizione, e questo allunga i tempi.

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