Il momento
più bello
dello sport
italiano

«Citius, altius, fortius. Communiter» è il motto olimpico in latino: «Più veloce, più in alto, più forte. Insieme». Ebbene, l’Italia ha l’uomo più veloce del mondo, Marcell Jacobs, il texano di Desenzano, e l’uomo che salta più in alto, «cavallo pazzo» Gianmarco Tamberi. E il nostro Paese è più forte. Insieme ai suoi due formidabili atleti. È l’estate più incredibile per lo sport azzurro. Esattamente tre settimane fa l’Italia si era riversata in strada ebbra di felicità per il trionfo della Nazionale di calcio, che nello stadio londinese di Wembley aveva piegato ai rigori l’Inghilterra nella finale dell’Europeo (dopo 53 anni di attesa), giorno nel quale, a pochi km di distanza, il tennista Matteo Berrettini, primo italiano ad approdare nella finale del torneo più prestigioso in assoluto come Wimbledon, aveva lottato come un leone perdendo contro un mostro sacro come Novak Djokovic. Era già un’estate da impazzire, un’estate in cui l’Italia si stava e si sta strenuamente liberando dell’incubo del Covid.

Ed eccoci ai Giochi olimpici di Tokyo che fino a ieri mattina ci avevano regalato sì 25 medaglie, emblema di una grande vitalità e competitività in molte discipline, ma soltanto due ori e nessuna impresa pazzesca. Invece, non proprio all’improvviso, ma quasi, si è materializzato in poco più di dieci minuti il momento in assoluto più clamoroso, emozionante e fantastico della storia dello sport italiano. Ci ricorderemo dei Mondiali di calcio vinti nel 1982 e 2006, della sorprendente Italia di mister Mancini, ma l’abbraccio fraterno di Jacobs e Tamberi, avvolti nella bandiera tricolore, non di meno resterà nitido nei nostri cuori.

Tamberi, 29enne di Civitanova Marche, ha vinto ex aequo con l’amico qatariota Mutaz Barshim la medaglia d’oro nel salto in alto con la misura di 2,37 metri. Proprio in quel momento il 26enne Jacobs entrava nello stadio olimpico di Tokyo per disputare - come primo italiano in assoluto - la finale dei 100 metri, la gara «regina» delle Olimpiadi. Marcell, statunitense solo di nascita perché dall’età di due anni è cresciuto sulla riva bresciana del lago di Garda, già padre di tre figli, ha visto sul tabellone il risultato di Tamberi e si è caricato come una molla. Non è che fosse carente di motivazioni, nelle batterie aveva già limato il suo record italiano (da 9”95 a 9”94) e in semifinale aveva fissato il nuovo primato europeo in 9”84. In finale è esploso come un proiettile (media di 38,4 km/h con una punta di 43,3 km/h!) ed è entrato nella leggenda stravincendo in 9”80, nuovo limite continentale, un centesimo in meno del tempo dell’extraterrestre Usain Bolt nei 100 d’oro di Rio 2016.

È esploso lui e sono esplosi gli italiani in poltrona o sulla sdraio: una scarica di adrenalina anche per i telespettatori, come quella che scosse i fan dell’atletica all’Olimpiade di Mosca 1980 quando il mitico Pietro Mennea fu artefice di una rimonta ai limiti dell’impossibile contro lo scozzese Allan Wells nella finale dei 200 metri vinti dalla «Freccia del Sud» barlettana. «Gimbo» Tamberi, nonostante abbia abbandonato il suo look stravagante, era il «mezza barba», ha esultato come un folle, mostrando al mondo un gesso, ricordo dell’infortunio che prima di Rio 2016 lo costrinse a rinunciare all’Olimpiade brasiliana.

Gianmarco attendeva questo giorno da cinque anni e proprio ieri ha sfoderato la sua migliore prestazione stagionale cancellando anni di sofferenza. Jacobs, che è emerso soltanto pochi mesi fa e sperava in una medaglia, ma l’oro sembrava un sogno enorme, ha reagito con sobrietà alla sua mirabolante prodezza, quasi come se fosse già entrato con naturalezza nel ruolo di star planetaria. L’atletica, che aveva gioito l’ultima volta con il controverso Alex Schwazer nei 50 km di marcia a Pechino 2008 (e prima con Stefano Baldini nella maratona di Atene 2004), se li coccola, l’Italia se li gode e spera che Jacobs e Tamberi le diano un po’ di fiducia e una marcia in più. Perché, come in un’Olimpiade, anche nella vita (quasi) tutto è possibile.

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