Il Papa scompagina
le logiche corte

È il sussidiario del Pontificato, ma anche la bussola per la rotta giusta. La terza enciclica di Papa Francesco è una sintesi organica quasi che ci fosse bisogno di fermarsi per mettere ordine, per riprendere il filo, per osservare di nuovo i dati oggettivi con intelligenza, evitando che qualcuno scivoli nell’oblio, e offrire insieme un criterio di lettura. Il Papa ha solo parole e su esse lavora come un artigiano per ricomporre una narrazione e un impegno di fronte a un mondo che va in frantumi e che lui invece cocciutamente si ostina a ricomporre in modo nuovo, con una logica che scompagina le logiche corte, dove quello che non è proibito è permesso, dove il desiderio di pochi travolge la volontà di molti e chi rimane indietro può al massimo consolarsi con l’elemosina e l’eventuale buona volontà di alcuni. Molte cose le aveva già scritte nella Laudato si’. Ma evidentemente l’insegnamento non è stato accolto. C’è chi lo ha inteso come un manifesto ecologista del solito Francesco che «non parla abbastanza di Dio».

C’è chi ne ha estorto frasi dal contesto felice delle sue analisi progressiste o al contrario rattristato per il magistero di un Papa negazionista della fulgida tradizione della Chiesa fino ad accusarlo di inciampare nello scisma. Le citazioni della Laudato si’ sono ben 172 e 50 quelle dalla Lumen Fidae, la sua prima enciclica. Non si abbia timore della lunghezza (287 paragrafi divisi in 8 capitoli), la lettura è scorrevole, la narrazione dei guai del mondo e le soluzioni chiare e profonde. Per capire Francesco e il suo Pontificato, per comprendere la continuità con il magistero dei suoi predecessori è una lettura cruciale. Bergoglio ha deciso di assumersi una grande responsabilità, trasformando e sviluppando il ragionamento sulla fratellanza contenuto nel documento di Abu Dhabi.

Anche quelle furono parole poco considerate, quasi fossero il frutto di un colpo di testa, relegate nel perimetro del dialogo interreligioso tra cristianesimo e islam, che a molti non piace anzi appare blasfemo per la dottrina cattolica. Oggi quel ragionamento diventa magistero e il concetto di fraternità, caro alla Rivoluzione francese accanto alla libertà e all’uguaglianza e cancellato dall’ordine post-rivoluzionario giacché troppo ingombrante, impegnativo e appunto rivoluzionario, rimesso al centro dell’attenzione da un Papa non per puro spirito romantico, non per lucidare un mito stravagante, ma per indicare ciò con cui intrecciare una nuova cultura politica, economica e sociale e una nuova responsabilità personale e istituzionale. L’enciclica non è una critica agli stili di vita.

È una sfida sconvolgente a come oggi vanno le cose di uno che ha deciso di non ritirarsi nel recinto sacro e tranquillo, di non passare oltre come hanno fatto tutti quelli che scendevano da Gerico quel giorno, tranne uno: «Ogni giorno ci troviamo di fronte alla scelta di essere buoni samaritani». Padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà cattolica ieri ha scritto, nella prefazione al testo, che Bergoglio «capovolge la logica dell’apocalisse», l’integralismo di coloro che contrastano un mondo all’opposto di Dio, adorano Dio, senza alcuna intenzione di vivere come a Dio piace. Dal disordine mondiale i cristiani non possono chiamarsi fuori, ma possono far ripartire il treno della storia, che oggi si è fermato nella stazione di una post-globalizzazione convulsa, anarchica, a tratti furiosa, violenta sicuramente rovinosa.

Il Papa scrive con dolore del cinismo diffuso, ammonisce i social media con parole da far impallidire e mette alla berlina il «dogma» del «neoliberismo», unico dogma citato, che dall’Ottantanove in poi sembra la rotta sicura finalmente tracciata per la navigazione di noi tutti. Adesso vediamo come sta finendo la stagione del pensiero unico del mercato. Per chi ancora non si fosse accorto c’è un unico consiglio: leggere «Fratelli tutti».

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