Il tempo stringe
L’Italia ha fretta

Promemoria per la politica italiana, oggi in tutt’ altre rispettabili cose affaccendata: non perdere di vista gli adempimenti del Pnrr, condizione per ricevere miliardi dal debito comune dei soci dell’Unione Europea, circa 70 dei quali senza restituzione. Qualcuno leggero, qualcuno pesantissimo, cose come fisco, giustizia, pensioni che per decenni Parlamenti e Governi hanno denunciato e non realizzato. O, come la legge sulla concorrenza, già bloccata all’interno del pur decisionista Governo Draghi dei primi mesi.

Non che il Pnrr sia la panacea di tutti mali, intendiamoci. I soldi sono tanti ma vanno confrontati con una spesa pubblica che nello stesso periodo sfiorerà i 5000 miliardi. Sono soldi in più, ma valgono il 5% all’anno. Conta, molto di più del denaro, la qualità, il metodo. Il piano ci mette su un binario, ci obbliga a certe priorità riformatrici. In questo senso è dinamite pura, che può aprire la strada ma, se ci esplode in mano, farà disastri. Il primo traguardo è a fine marzo, se vogliamo la seconda tranche di 20 miliardi, in attesa di altri 20, sei mesi dopo.

A fronte, ci sono ben 100 condizioni entro San Silvestro, e non deve illudere il fatto che nell’ultimo semestre siano stati altri 51 quelle rendicontati a Bruxelles. Erano in gran parte le più facili: cose formali e procedurali, bandi di gara, cornici dentro le quali ancora non c’è il quadro. Nel 2022, il tipo di adempimenti richiesto è molto più pregante. Nel linguaggio del Next generation termini come «meccanismo di verifica» e «indicatori qualitativi», non sono generici come sembra. Significano riscontri, cose fatte. Quando chiede ad esempio interventi per ridurre l’evasione fiscale, chiede di vedere la pubblicazione effettiva sul sito del Ministero, o quando chiede la riforma delle procedure degli acquisti della Pubblica amministrazione non vuole la data del decreto legge, ma quella di approvazione finale.

Si capisce bene, dunque, un certo scetticismo verso un Paese che nell’intrico tra Stato e Regioni, tra Nord e Sud, non sa spendere e fatica a realizzare cose che sono arrivate in Gazzetta, ma si disperdono nella fase attuativa. E poi ci sono ostacoli non politicamente addebitabili a qualcuno. Il programma sulle infrastrutture è talmente vasto (si pensi anche a cose già decise, con contratti firmati, come l’Alta velocità Napoli-Bari o Palermo-Catania), che gli addetti ai lavori temono che non si riesca a trovare, nei tempi veloci richiesti, neppure la mano d’opera necessaria. La clausola ambientale imposta ai fornitori ha richiesto una circolare chiarificatrice di 300 pagine. E poi ancora: come si aggirerà il «fattore Tar», che blocca opere approvate? Si riuscirà davvero a far intervenire i poteri sostitutivi in caso di rallentamenti? Insomma, è in programma un percorso ad ostacoli, per di più con fattori esterni non più favorevoli. L’inflazione è già scappata di mano.

Facevamo fatica a farla crescere attorno al 2% fisiologico, oggi siamo al doppio. Il costo delle materie prime non accenna a raffreddarsi. Lo spread, che stava buono attorno a quota 100, veleggia a 140. Dunque, la politica faccia attenzione. Si parla di nuovi Governi e di elezioni (anticipate o a scadenza di 12 mesi), ma bisognerebbe sapere che i programmi di qualsiasi Governo, prima e dopo le elezioni, sono già ipotecati proprio dal Pnrr. Sono già scritti. Quando fino al 2026, ogni anno, c’è in entrata la dimensione di una robusta legge di bilancio, è evidente che le cose da fare sono già decise. Restano a chi governerà solo un po’ di rogne grosse, come la pandemia, e aggiuntive, tipo fronteggiare la questione bollette, che già è salita a 10 miliardi di costi non previsti, spiluccando tutto il possibile ma lasciando sempre sotto le acque dell’Adriatico 12 miliardi di gas per veti ideologici. Se poi il Pnrr rallenta, non abbiamo più la stessa forza a Bruxelles e torneranno all’assalto i Paesi dell’austerità, anziché proseguire sulla strada del debito comune, la più europeista, che per ora ha spazzato via in Italia i no Euro, ma, se il Pnrr non funziona, gli ridarà voce. Aspettando il nuovo presidente della Repubblica, non dimentichiamo la Repubblica.

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