Imprese e destre
Le 2 spine di Conte

Una giornata decisamente poco gradevole per Giuseppe Conte: a Villa Pamphilij a incontrare Carlo Bonomi, il presidente della Confindustria per il quale «la politica fa più danni del Covid», e a Montecitorio per vedersi sfilare davanti i parlamentari della destra sovranista, uscire dall’aula e rifiutarsi di ascoltare la sua informativa sul Consiglio europeo di domani. Insomma, il presidente del Consiglio si è scontrato con una realtà che non ama vedere: il contrasto col mondo delle imprese e l’impossibilità di un dialogo con l’opposizione che rappresenta all’incirca la metà dell’elettorato italiano. In entrambi i casi l’avvocato pugliese ha reagito con il fair play del politico consumato della Prima Repubblica: sorriso d’ordinanza, parole intrise di emolliente.

Salvo poi prendersi un momento di piccata reazione quando Bonomi gli ha chiesto la restituzione dei tre miliardi e mezzo della vecchia accise provinciale dell’energia che è stata abolita: lo Stato deve per sentenza della magistratura restituire i soldi non dovuti ma si guarda bene dal farlo. Quando Bonomi ha sollevato la questione, Conte ha detto: «Qui voliamo alto, questioni del genere lasciamole agli uffici che troveranno una soluzione». In realtà il presidente di Confindustria ha portato una lista molto lunga di richieste che, se adottate, dovrebbero ribaltare completamente l’impostazione «assistenzialistica» del governo rilanciando gli investimenti pubblici, abbassando le tasse, costringendo la pubblica amministrazione a pagare i miliardi di debiti che ha contratto con le imprese. Peraltro Bonomi ha ricordato a Conte e ai (pochi) ministri presenti a Villa Pamphilij che la cassa integrazione finora è stata anticipata dagli imprenditori e che così sarà anche per le quattro settimane aggiuntive, per la ragione che i soldi in gran parte non sono ancora arrivati. L’impressione è che l’incontro sia stato irrilevante quanto può esserlo un dialogo tra sordi: tra Conte che negava che nella maggioranza ci sia chi è ostile (leggi: il M5S) al mondo delle imprese e Bonomi che non finiva di stigmatizzare l’assenza di un piano del governo con finalità e modalità delineate, tempi e costi precisi. «Niente di niente, il piano l’abbiamo portato noi». Insomma, il problema del rapporto con le imprese resta intatto: solo che adesso il lombardo Bonomi è intenzionato a farlo emergere in tutta la sua virulenza.

L’altra metà della giornata per Conte è passata in Parlamento. La scelta di svolgere una «informativa» alle Camere sulla trattativa europea sul Recovery Fund non è casuale: è un strumento che non prevede un voto. Un voto che avrebbe diviso la maggioranza mostrando le differenti opinioni sul Mes, con i grillini fermi sul no a tutti i costi, e tutti gli altri convinti che prima o poi anche loro dovranno cedere alle necessità: quei 36-37 miliardi ci servono. Poiché non si è votato, Salvini e Meloni hanno fatto uscire dall’aula per protesta i loro deputati e senatori, non prima di aver pronunciato l’ennesima filippica contro la politica economica del governo e la sordità alle proposte delle opposizioni. Si è differenziata Forza Italia che ha sì criticato Conte ma è rimasta in aula ad ascoltare: la riprova che Berlusconi è ancora disponibile al dialogo con la maggioranza soprattutto se i rapporti con i grillini diventassero impossibili. Il M5S è percorso da sussulti autodistruttivi e non è escluso nulla, a cominciare da una scissione di parlamentari pronti a seguire Di Battista e a votare no alla fiducia al governo.

Ultima notazione per la giornata di Conte: ha ascoltato nell’aula di Palazzo Madama un inedito e dolce «siamo con lei presidente, tenga duro» pronunciato da Matteo Renzi. Proprio da colui che ha tuonato per mesi contro l’immobilismo di Palazzo Chigi. Chissà che non ci sia davvero un patto nascosto per una legge elettorale che non penalizzi il piccolo partito renziano.

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