Islam e terrore
Troppi rebus

Di Fejzulai Kujtim, il ventenne che ha ucciso quattro persone nel centro di Vienna, sappiamo molte cose. Che è di origine macedone, ma ha anche cittadinanza austriaca. Che viene da una famiglia normalissima. Che era appena uscito di prigione dove aveva scontato, sia pure con uno sconto, una pena di 22 mesi per aver cercato di andare in Siria e unirsi all’Isis. Notizie importanti che però ci parlano dell’uomo, non del terrorista. Di questi sappiamo assai poco. Chi l’ha indottrinato? Chi gli ha detto quando e dove colpire? Chi l’ha dotato di un fucile d’assalto, un’arma micidiale che in Europa non si compra certo nel negozio sotto casa?

E la stessa considerazione, a ben vedere, vale per Brahim Aoussaoui, il tunisino di 21 anni che ha ucciso tre persone davanti alla cattedrale di Nizza, in Francia. Sappiamo che era sbarcato a Lampedusa e sono di certo reperibili persone che l’hanno conosciuto in patria o durante il viaggio da clandestino. Ma a meno di pensare che Brahim fosse partito dalla Tunisia con l’idea fissa di ammazzare qualcuno in Francia, dobbiamo ancora scoprire chi l’ha aiutato in Italia, chi gli ha fatto passare la frontiera, chi l’ha ospitato a Parigi e, ancora, chi l’ha mandato a Nizza per uccidere. Per non parlare di Alì, il pakistano arrivato in Francia addirittura minorenne, che a fine settembre aveva aggredito e ferito due persone con una mannaia nella strada di Parigi dove ha sede il settimanale satirico Charlie Hebdo. Un ragazzo che a stento parla il francese ma che ha perfetta contezza della polemica sulle vignette di Maometto e della geografia culturale della capitale? Un emarginato che tutto da solo decide di vendicare l’onore dell’islam? Difficile crederci.

Insomma, ci mancano troppe tessere e il puzzle del terrorismo islamista che opera in Europa è ancora tutto da decifrare. Ragazzi di buona famiglia e schegge impazzite si avvicendano senza sosta sulla scena della violenza, lasciando a noi di sconcertarci con le ipotesi. È il fanatismo dell’islam radicale, no, è il disagio sociale delle periferie, forse è lo scontro di civiltà. Ma l’unico filo rosso che sembra capace di tenerli tutti insieme è l’esistenza di una rete, anzi di più reti, di predicatori del male che possono, all’occorrenza, fornire anche armi micidiali. Reti che, se esistono come noi le immaginiamo, sono ben lontane dall’essere sgominate.

Non illudiamoci, è difficile che si possa rimediare con il lavoro culturale, o con l’esaltazione delle caratteristiche liberali e democratiche delle nostre società. Vivono in Europa 25 milioni di musulmani che a quelle caratteristiche sono indifferenti (nel senso che magari vivrebbero bene anche in Paesi autoritari, come sono quasi sempre i loro d’origine) o che, al contrario, sono molto soddisfatti di vivere come viviamo noi. E sono persone comunque pacifiche, per nulla inclini alla violenza. Ma tra loro ci sono anche gli altri, i fanatici, proprio come tra noi ci sono anche delinquenti e malfattori. Crediamo che basterà elogiare la tolleranza e la mitezza per ottenere risultati con i fanatici? Quello che serve, per estirpare la mala pianta, è un buon lavoro di servizi segreti e polizia.

Ma proprio per questo, per il fatto che si tratta di una incorreggibile minoranza che vogliamo rimanga minoranza, dobbiamo provare a respingere chi specula in modo indegno cercando di mescolare fede e politica. Il pensiero va a Recep Tayyep Erdogan, che nella vicenda delle vignette del Charlie Hebdo ha fatto ogni sforzo per inasprire gli animi e acuire le polemiche. Nei confronti del leader turco, l’Europa si è proposta con due stili diversi. Uno è quello aggressivo e disastroso del presidente francese Macron, che ha risposto colpo su colpo (e ha mandato le navi da guerra nel Mediterraneo a confrontarsi con quelle turche) senza ottenere nulla e, anzi, attirando sulla Francia gli agenti del terrore. L’altro è quello conciliante e inconcludente della cancelliera Merkel. Si può capirla, la Turchia è un cliente difficile e in Germania vive più di 1 milione e mezzo di persone che hanno ancora la cittadinanza turca.

Sarebbe forse opportuno, allora, trovare una via di mezzo, qualcosa che stia tra la grinta senza scopo e la diplomazia senza esito. Molto potrebbe fare l’Unione europea, se sapesse prendere una posizione comune su problemi che, da Lampedusa a Nizza a Vienna, la riguardano tutta. Chissà, prima o poi, forse…

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