La grande bellezza di un giorno di puro sport

CICLISMO. «Ho visto quasi niente, ma che spettacolo». La sintesi migliore la fa un signore sulla sessantina, sudato il giusto sotto un sole che sembrava essersi segnato la data sull’agenda, per il suo grande ritorno sulla scena della primavera.

Giusto in tempo per il Giro. Bergamo ha accolto il Giro come il Giro merita. Come merita chi ha messo impegno e risorse per regalare non una partenza o un arrivo, ma un’intera tappa, di fatto, sulle strade della nostra provincia. Bergamo ha accolto il Giro come merita il ricordo di Felice Gimondi. Prima volta, qui, per la corsa rosa da quando Felice non c’è più. E se i bergamaschi hanno onorato il Giro, anche il Giro ha fatto il suo dovere con l’arrivo più bello finora, che ha riscattato l’assenza di battaglia tra i big.

Il vero spettacolo, dall’inizio alla fine, l’ha fatto la gente, assiepata ovunque lungo il percorso. Il vero spettacolo l’ha fatto il nostro territorio: la Valle Imagna e i suoi colori, il serpentone del Selvino, la città e le traiettorie ardite delle Mura. Fino al traguardo, che fin dal primo pomeriggio era un formicaio di colori, voci, entusiasmo multilingue. Un giro nel Giro, ieri pomeriggio, restituiva l’immagine di una città radicalmente cambiata negli ultimi anni. Inglese, francese, tedesco, arabo, lingue orientali indistinguibili: un variegato multietnico impensabile solo fino a pochi anni fa. E mentre i turisti si stropicciavano gli occhi davanti a tanta bellezza, altrettanto facevano i telespettatori davanti alle riprese tv, davanti alla gioia di un popolo che solo pochi giorni fa, dopo Atalanta-Juventus, per colpa di pochi s’è trovata addosso un’ingiusta etichetta razzista. E invece i bergamaschi erano lì, a decine di migliaia, a fare un tifo semplice e per tutti.

Perché poi in fondo a tutto questo c’è una sola parola, la più pulita di tutte: passione. È la passione che porta questa moltitudine di persone a stare una sull’altra sotto il sole (o, fino all’altro ieri, sotto la pioggia) per applaudire i corridori. È la passione che porta ad incitare uno o l’altro, uno e l’altro, mai contro. Il ciclismo conserva questa forma di passione ormai rarissima nel mondo degli sport professionistici. È una passione che sfiora - o a volte supera - i confini del nostalgico, talvolta del reducismo. Ma paradossalmente è una passione che viene esaltata dall’assenza dei grandissimi campioni al Giro, perché loro puntano al Tour. E dall’assenza di corridori italiani in grado di competere per la vittoria. E dall’assenza di corridori bergamaschi che facciano sognare. Tolta la speranza che qualcuno «dei nostri» vinca, resta la passione pura e semplice per uno sport che è ancora miracolosamente gratis: basta andare in strada. Per uno sport che non vive di prevendite, di tessere o diffide: ci possono andare tutti. Per uno sport che non si gioca dalla domenica alle 12.30 al sabato sera, ormai ogni giorno: la tappa del Giro è sempre alla stessa ora, e dopo che l’hai vista ti porti a casa comunque una gioia, che vinca un americano di Phoenix Arizona, come Brandon McNulty, che in mezzo ai Propilei ha centrato la prima vittoria in una grande corsa, o che trionfi Felice , come su quel pezzo d’asfalto, metro più metro meno, nel giugno ’76.

Di tutto questo occorre dire grazie a chi questa tappa l’ha pensata, finanziata e realizzata. E’ stata, finora, la tappa più bella del Giro e un gigantesco spot per la nostra terra. Un capolavoro che fa già venire grande voglia di un rilancio. Di una tappa che magari, nel futuro, possa portare Bergamo dentro i giorni decisivi del Giro. Magari con un arrivo in salita a Foppolo, che saprebbe far selezione, o con una grande festa di popolo alla Presolana. Magari esageriamo, ma dopo ieri non è vietato desiderare una tappa che costringa pure quei «pelandroni» del gruppo a darsi una mossa anche prima dei chilometri decisivi. Un sogno impossibile? Forse. Ma qui abbiamo chi sa come si fa.

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