La partita dell’Iva
La verità verrà fuori

Quanto durerà la commedia degli equivoci sull’Iva? Il ministro dell’Economia Giovanni Tria dice che aumenterà, senza alternative (che al momento non vede) mentre i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio si affrettano a smentire categoricamente. A chi credere? In chi sperare? Come è noto l’eventuale aumento dell’Iva è legato alle cosiddette clausole di salvaguardia istituite nel 2011, al tempo del governo «tecnico» di Mario Monti, nato sull’onda della tempesta finanziaria dello spread, sotto l’egida del presidente della Repubblica Napolitano.

Per rassicurare i mercati e riportare in buono stato i conti pubblici il neosenatore a vita aumentò l’Iva di un punto portandola al 22% e concordò con la Commissione di Bruxelles una sorta di paracadute finanziario. Con clausole di salvaguardia si intendono infatti quelle misure prese per rispettare i vincoli di bilancio previsti dai trattati europei, in pratica per tutelare i saldi di finanza pubblica. Se il Governo non riesce a trovare i soldi che ha promesso per coprire le sue riforme, sforando oltremodo sul deficit, allora deve mettere mano al taglio delle agevolazioni fiscali o aumentare le imposte indirette (come l’Iva, appunto).

La progressione delle aliquote Iva previste dalla legge di Bilancio e dagli accordi con l’Unione europea in caso di bilancio in rosso oltre il deficit concordato (il Documento di programmazione economico finanziaria, che è un po’ la «brochure» della manovra economica, calcola il 2,4%), prevede per l’Iva agevolata il passaggio dal 10 all’11,5%, fino ad arrivare al 13% nel 2020. Per l’Iva ordinaria, che come detto attualmente è al 22%, arriverebbe nel 2019 al 24,2%, nel 2020 al 24,9%, fino al 25% dal primo gennaio 2021.

In questo modo balzeremmo al primo posto nella classifica dei Paesi dell’Unione europea per ammontare delle aliquote Iva (attualmente sopra di noi ci sono, nell’ordine, Grecia, Finlandia, Irlanda e Portogallo). Se l’aumento venisse messo in atto, lo Stato ci metterebbe le mani nel portafoglio in maniera pesante. Lo scatto infatti potrebbe pesare per 23 miliardi sui contribuenti italiani, una manovra economica intera, circa 538 euro a famiglia.

Sarebbe uno stillicidio che non risparmia niente e nessuno: dai derivati della farina alla carne e al pesce, dal caffè alle tariffe professionali, dal gas metano per uso domestico agli spettacoli teatrali, dai giocattoli ai televisori. Tutti i prodotti e i servizi, per compensare l’aumento delle tasse, andrebbero a ricaricare sui prezzi e alla fine a farne le spese saranno i consumatori. A esserne colpiti insomma sarebbero famiglie e imprese, in una fase economica non certo scoppiettante. La misura è pericolosa non solo per i quattrini che andrebbero a perdere i contribuenti ma soprattutto per il colpo devastante che l’innesco dell’aumento andrebbe a dare sul ciclo produttivo italiano. Significa fermare i consumi e dunque la produzione e di conseguenza ridurre l’occupazione.

Ecco spiegato perché nessun governo dopo Monti si è mai sognato di aumentare l’Iva e Di Maio e Salvini si precipitano a smentire ogni ipotesi, guardando all’attuazione delle clausole di salvaguardia come il fumo negli occhi. Ma prima o poi la verità salterà fuori. E nel caso avesse ragione Tria, saranno dolori. Nessun pasto è gratis dicono gli economisti. Nemmeno il prezzo della quota cento per le pensioni e del reddito di cittadinanza.

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