La qualità delle cure: i progressi ma per tutti

L’ANALISI. La nostra città ha recentemente ospitato la prima riunione scientifica del programma Anthem con il quale vengono sviluppati 28 progetti di ricerca finalizzati a migliorare la qualità delle cure mediche grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie.

Vi lavorano, fianco a fianco, 300 ricercatori di dieci Università, altrettanti centri di ricerca, imprese, tra cui i nostri maggiori ospedali, l’Istituto Mario Negri e della Fondazione europea ricerca biomedica. Le risorse provengono dal Piano complementare al Pnrr. Ciò che ha sorpreso al termine delle presentazioni sull’andamento dei vari progetti sono almeno due elementi: l’età media dei giovani reclutati durante il primo dei quattro anni di attività, molto inferiore ai 30 anni; e l’eccellente qualità dei primi risultati, insieme alle potenzialità future.

È stato un evento multidisciplinare che ha visto muoversi medici, ingegneri, fisici, informatici, psicologi ed economisti, dal cardiovascolare alla diagnostica, dall’intelligenza artificiale ai sensori e ai biomateriali, dai modelli preclinici basati sull’analisi di grandi quantità di dati alla telemedicina, dal monitoraggio ambientale sull’individuo alle biopsie tridimensionali con l’uso del microtomografo, alla medicina di precisione. E sullo sfondo, le cosiddette Comunità di riferimento tra cui gli abitanti delle nostre valli e della nostra città.

Da tutto ciò emergono almeno due considerazioni. La prima è che siamo prossimi a cambiamenti incredibili nel modo di fare medicina e nelle possibilità di cura. La pervasività delle nuove tecnologie porterà a risultati in chiave preventiva, diagnostica e terapeutica impensabili fino a pochi anni fa.

La seconda è che per via dell’invecchiamento della popolazione e non solo, avremo una domanda crescente di cura e se questa poggerà sui nuovi ritrovati dovremo affrontare il tema del loro costo. Va da sé che entrambe le riflessioni pongono la questione del modello di sanità dei prossimi anni. Riusciremo a offrire a tutti la stessa qualità delle cure? Potremo ancora parlare di sistema universale o dovremo affrontare una deriva americana che determina aspettative di vita in anni e qualità della salute dipendenti dalle capacità economiche dei singoli individui?

Non solo, queste considerazioni pongono anche la questione del gap di conoscenza tra il cittadino comune e gli scienziati che lavorano su programmi come quello di Anthem, analogo a quello determinato dall’uso degli algoritmi progettati da pochi sapienti o potenti che già condizionano le nostre vite e le nostre scelte.

L’acronimo di Anthem (AdvaNced Technologies for Human CentrEd Medicine) parla dell’uso delle tecnologie per una medicina centrata sulla persona. E questo è il compito di un programma di ricerca finanziato con risorse pubbliche e portato avanti da talenti che lavorano nel nostro Paese. Resta sullo sfondo il grande impegno (è un po’ di creatività e passione) che le istituzioni pubbliche e i loro rappresentanti, dal Governo nazionale e locale fino alla Scuola e all’Università, dovranno mettere affinché per persona si intendano tutti coloro che appartengono a un Paese e a una comunità e non solo pochi eletti. Affinché non si verifichi che ai meno fortunati non restino che le briciole, le briciole dei poveri. Non di pane come ai vecchi tempi, ma di conoscenza e benessere.

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