L’album di famiglia
si fa storia collettiva

Partiamo dal succo: guardate le immagini, anche mettendo subito mano al sito - attivo da ieri - di questo nuovo Museo della Fotografia «Sestini» che oggi si apre. Sul photo-wall che accoglie (in italiano e inglese) i visitatori nell’ala sinistra dell’ex Convento di San Francesco scorrono immagini dell’antica Valle Brembana, barche di legno a pesca sul Sebino, storiche partite dell’Atalanta, stormi di idrovolanti in volo compatto, automobili con 15 passeggeri ben vestiti a bordo, ma anche la faccia di Vittorio Gassman e il sorriso di Sophia Loren: non c’è solo storia locale qui dentro.

C’è la nostra Italia. Jennifer Coffani, responsabile dell’archivio, con eleganza e in guanti bianchi anti-impronte fa scorrere uno dopo l’altro i passe-partout di carta non-acida che hanno accolto gli straordinari, ingialliti originali usciti allo scoperto grazie al processo di concentramento di queste 11 collezioni: nella stampa all’albumina riconosciamo il profilo dell’Hotel de Ville, il palazzo del potere pubblico francese, ma è tutto diroccato: «Sì - spiega Coffani -, sono le foto della Comune di Parigi»: siamo, dunque, nel 1871, Joseph Nicéphore Niépce ha inventato da pochi decenni il nuovo modo di «scrivere con la luce», e la Ville Lumière è ancora preda dei sogni d’argento di Daguerre, che riflettono indelebilmente i profili di Baudelaire, di Arthur Wellesley, di Allan Poe.

Sono Pepi Merisio, Eugenio Goglio, Tito Terzi, Alfonso Modonesi, Domenico Lucchetti, e poi Da Re, Asperti, Limonta i protagonisti di questa avventura, il Museo della fotografia «Sestini»: occhi bergamaschi, capaci di aprire lo sguardo con prontezza sull’orlo di un mondo che cambiava molto in fretta, di una provincia rurale che spariva, di un’industria che si faceva (e si fa) strada sulle spalle del lavoro dei bergamaschi. «Cambiavano - ha fatto giustamente notare ieri presentando il progetto Emilio Moreschi, ad di Fondazione Bergamo nella Storia - non solo i tracciati delle nostre strade, le fogge dei vestiti, ma persino le espressioni facciali, gli sguardi dei bergamaschi», e i fotografi hanno saputo notare, registrare, archiviare tutto questo.

Ma lo hanno sempre fatto - professionisti, amateurs di lusso, come lo stesso Moreschi, come l’ing. Roberto Sestini - in una dimensione privata, al massimo conviviale, mai troppo sopra le righe. Ora, con la costituzione di questo polo cittadino della fotografia, che sta raccogliendo grandi e piccole donazioni un po’ da tutte le direzioni, il passo cambia. L’album di famiglia - che tale era rimasto per decenni, i Goglio percorrevano per il lungo tutta la Val Brembana ma era come se fotografassero sempre casa propria - diventa abbozzo di una storia collettiva, di un’impresa civile, specchio di una geografia sociale. Affiancato dal gusto - anche questo molto bergamasco - per le tecnologie più nuove, per l’acribia storiografica - promette di diventare non solo un grande archivio della memoria, un angolo nella Città antica deputato a nostalgie un po’ fané, ma una macchina capace di costruire anno dopo anno, decennio dopo decennio un’identità in trasformazione, senza perdere memoria di una provenienza sempre fungente, in fondo alle nostre «pose».

Non è, questa, solo una «operazione Bergamo», una bandiera identitaria perimetrata: ecco che nelle raccolte del nuovo Museo compaiono già immagini di un gigante della poesia fotografica come Mario Giacomelli, di un reporter di punta come Ferdinando Scianna, speriamo confluisca qui anche qualche scatto di maestri come Gianni Berengo Gardin (che settimana scorsa era qui in città: domani all’ex Monastero del Carmine si chiude la sua mostra sulle Grandi navi che deturpano Venezia) o di Gabriele Basilico, che ha conosciuto bene e fotografato questo territorio, di qualche altro nostro compagno di viaggio, insomma.

Il nastro che oggi si taglia è certamente un punto di arrivo del bel lavoro fatto in una intelligente sinergia pubblico-privato (ma anche personale-sociale) da decine di persone appassionate, competenti, anche un po’ testarde. Ma è, soprattutto, un punto di partenza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA