L’alleanza gialloverde
alla prova della manina

Siamo già in una fase di «pre-crisi» di Governo? Naturalmente i protagonisti smentiscono ma intanto da due giorni la maggioranza continua ad attraversare convulsioni che sembrano preludere a una rottura, anche se non imminente. Come è noto tutto nasce dalla scintilla accesa dal vicepremier dei Cinque Stelle Di Maio, secondo cui una «manina» avrebbe inserito nel decreto fiscale la sanatoria per i proventi per riciclaggio, depenalizzazione compresa. Da allora abbiamo assistito a una commedia abbastanza deprimente. Di chi era la «manina»? Dei tecnici del ministero dell’Economia e della finanza? Di qualche ministro leghista birichino? Il vicepremier ha addirittura minacciato di fare un esposto in Procura. Ci sono fattori esterni ed interni che mettono a dura prova la compagine governativa gialloverde: la bocciatura della manovra da parte dell’Ue, che ha già inviato una lettera di ammonimento, la speculazione internazionale (di cui lo spread è il termometro) e le frizioni degli alleati sul condono. Per i grillini un colpo di spugna fiscale è davvero difficile da digerire. Come ha detto senza mezzi termini il presidente della Camera Roberto Fico « non è nel contratto e comunque il Movimento non capirebbe».

E infatti i mal di pancia non mancano, persino da parte di Beppe Grillo, che pare abbia fatto una terribile telefonata a Di Maio nel cuore della notte. Ai Cinque Stelle il condono fino a centomila euro contenuto nel decreto fiscale allegato alla manovra non era mai andato giù: il suo elettorato è infatti in gran parte fatto di lavoratori dipendenti costretti a pagare le tasse fino all’ultimo centesimo. Pare sia stato frutto di uno scambio con una maggiore estensione del reddito di cittadinanza. Figuriamoci un condono per chi ha fatto del riciclaggio di denaro. Ieri l’alta tensione tra i due leader della maggioranza è continuata per tutto il giorno.

Salvini non cede sul decreto fiscale, contando sul consenso di molti autonomi e imprenditori del Nordest. Dice che il ministro del Lavoro sapeva tutto e non c’è nessuna manina: «Conte leggeva e Di Maio scriveva» ha detto, con una vaga – ma nemmeno tanto - allusione alla famosa lettera di «Totò e Peppino e la malafemmina». Ma nemmeno il leader dei Cinque Stelle ci sta a «passare per distratto» e parla di «un problema politico con la Lega». Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (che avrebbe evocato persino le dimissioni) ha convocato per oggi un Consiglio dei ministri dove dovrebbero stemperarsi i contrasti sfidando Salvini, che non lo voleva fare. «Conte ha enunciato i principi generali dell’accordo sulla pace fiscale» ma «non si è mai parlato di condono penale e di fondi esteri», precisa su Facebook Di Maio. Ma alla fine anche il ministro degli Interni ha smorzato i toni. Oggi dovrebbe essere anche lui a Palazzo Chigi con i suoi ministri, di ritorno dalla campagna elettorale in Trentino. «Guido un governo che ha finora dimostrato di saper fare squadra e sintesi e così continueremo a fare», fa sapere il premier Conte con un post.

Insomma: finora nessuno degli attori e dei comprimari di questa commedia degli equivoci scommette su una crisi, che scontenterebbe più i Cinque Stelle che la Lega, almeno stando ai sondaggi. Oggi si dovrebbe risolvere tutto. Perché il progetto è quello di andare avanti almeno fino alle elezioni europee, dove Salvini sogna di prendere il posto del presidente della Comissione Juncker.

Sarà curioso capire come si riuscirà a disinnescare la bomba a orologeria del famoso articolo nove che prevede la non punibilità nel caso di riciclaggio o impiego di proventi illeciti. Perché un reato o c’è o non c’è, nemmeno il più doroteo dei democristiani potrebbe mediare su queste due alternative.

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