L’ipocrisia frena
scelte urgenti
e impopolari

Noi bergamaschi siamo messi molto meglio di altri, sia in Lombardia sia in relazione al resto d’Italia, ma purtroppo non basta per chiamarci fuori da quello che sta accadendo lungo tutto lo Stivale e dai provvedimenti che il governo si appresta a varare nelle prossime ore. Le dinamiche sono diverse e i punti di vista sulle scelte necessarie sono infiniti, ma - semplificando di molto - sono tre i dati che occorre tenere ben presenti per capire a cosa stiamo andando incontro e, conseguentemente, decidere di usare tutto il buon senso di cui disponiamo per seguire alla lettera le indicazioni contenute nel prossimo Dpcm.

I primi due dati indicano i ricoveri per Covid negli ospedali e, in particolare, quelli nelle terapie intensive, numeri che ci fanno sostanzialmente capire quanto sia grave oggi la malattia. È di ieri sera una nota riservata di Regione Lombardia agli ospedali in cui si legge che «le attuali proiezioni delle esigenze di offerta assistenziale ospedaliera fanno ritenere che tra 14 giorni il fabbisogno di posti letto per pazienti Covid risulti essere di circa 750-800 posti letto di Terapia Intensiva, di circa 7.500- 8.000 posti letto per acuti (di cui circa il 15-20% di posti letto con assistenza ventilatoria non invasiva), e di circa 1.500 posti letto di degenze sub acute e di comunità». Una prospettiva che si commenta da sola. Il terzo dato da non perdere di vista è il valore di «R con T», il tasso di contagiosità dopo l’applicazione delle misure messe in atto per contenere il diffondersi della malattia. Pur con l’introduzione dell’uso della mascherina, del distanziamento sociale e del ripetuto lavaggio delle mani, oggi in Italia l’«R con T» è pari a 1,7 (una persona colpita dal Covid è in grado di contagiarne quasi due, una virgola sette appunto), in Lombardia è di 2,09 (!) e nella Bergamasca è di poco oltre l’1,25. Sono valori, soprattutto nella nostra regione, ancora troppo alti e che se non si riescono a ridurre, portandoli sotto la soglia dell’uno, continueranno a complicare terribilmente la situazione.

Non dobbiamo poi dimenticare il fatto che l’«R con T» - proprio perché esclude dal conteggio tutti gli asintomatici - è l’unico valore in grado di misurare la tenuta del Sistema sanitario: più è alto, più cresce il numero dei ricoveri e più gli ospedali vanno in difficoltà. Portando l’«R con T» sotto la soglia dell’uno, pur continuando a mantenere mascherine, distanziamento e lavaggio delle mani, possiamo sperare che il virus si spenga e muoia naturalmente in un ragionevole lasso di tempo, altrimenti continuerà a «replicarsi» in nuovi soggetti, e liberarsene sarà sempre molto complicato. L’esperienza maturata nella prima fase della pandemia ha dimostrato che solo provvedimenti rigidi e rigorosi sono stati in grado di «piegare» la curva, e dunque - fino a quando non arriverà il vaccino, e ci vorrà ancora tempo – al Governo non resta altro che decidere di conseguenza. Compito ingrato vista la stucchevole melina delle Regioni che tendono a scaricare sul Governo centrale le scelte più impopolari, ma è anche vero che prima verranno adottati i provvedimenti necessari a far calare la curva dei contagi e prima ci libereremo sia delle norme restrittive sia dei contagi.

Certo, ci aspettano lacrime e sangue, e lo Stato dovrà garantire l’impossibile per aiutare tutti e non lasciare indietro nessuno, mettendo le mani anche sul tanto discusso Mes, il meccanismo europeo di stabilità, l’ex «fondo salva-Stati» che invece nessuno vuole. Ma se al tergiversare delle Regioni, aggiungiamo anche il rifiuto delle opposizioni alla proposta del premier Conte di istituire un tavolo di lavoro comune per affrontare la gravità della situazione, capiamo bene che il livello complessivo della politica italiana è ben lungi da quello, tanto vituperato, del passato.

E certo non farebbe male nemmeno squarciare quel velo di ipocrisia che oggi sembra avvolgere molte delle discussioni attorno agli anziani e agli studenti. Lo sappiamo tutti che gli anziani starebbero meglio in mezzo alla gente e circondati dall’affetto di figli e nipoti, ma se lo scotto da pagare è quello ben noto a tutti, il «gioco» di proteggerli isolandoli dagli assembramenti vale la candela, tanto più che oggi abbiamo a disposizione una serie di «diavolerie tecnologiche» - come le chiamano i nostri vecchi - per accorciare sensibilmente la distanza fisica. Per anni abbiamo trascurato gli anziani considerandoli «fastidiosi» tra le mura domestiche e del tutto inutili (sullo stile di Toti…), tanto che, fino a qualche anno fa, le case di riposo erano strapiene di arzilli vecchietti del tutto autosufficienti. Oggi, invece, pur di buttar tutto in polemica politica, li rimettiamo (ma solo a parole) al centro dei nostri interessi.

Se ce lo fossimo dimenticato o ancora non l’avessimo capito, la pandemia da Covid è né più né meno una guerra, anche se fuori dalla finestra non si vedono macerie. Il paragone può apparire forte e azzardato, ma durante gli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, si stupiva qualcuno se le scuole erano chiuse? No di certo, e la didattica a distanza non si sapeva nemmeno cosa fosse. E allora perché farne un dramma oggi, tanto più che la tecnologia, anche in questo caso, è in grado di attenuare di molto le cose? Stare insieme in aula e socializzare aiuta a crescere, lo sappiamo tutti; poi fa niente se basta fermarsi fuori da qualsiasi scuola per vedere gruppetti di studenti che sembrano socializzare tra loro, ma in realtà socializzano solo con il proprio smartphone… Coloro che hanno fatto grande l’Italia dal Dopoguerra in poi erano nati tutti dopo il 25 aprile del 1945? No. E allora perché non riconoscere alle generazioni di oggi la forza (e la speranza) di recuperare il gap scolastico accumulato in questi mesi? Anche qui la tecnologia consentirebbe sviluppi interessanti. Una maggior onestà intellettuale, dunque, non guasterebbe.

Stando così le cose, non c’è più tempo da perdere, servono misure forti. Certo, l’impopolarità non paga, ma è solo questione di decidere quando riscuotere il dovuto, se a stretto giro di urne, o con il calendario della Storia.

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