Marcia a Torino
per dire Sì Tav

Con i vaffa non si creano posti di lavoro. Questo il messaggio della manifestazione Sì Tav di Torino. Circa trentamila persone, secondo i dati degli organizzatori, si sono raccolti in Piazza Castello del capoluogo piemontese per chiudere con la stagione dei No. Non hanno colore partitico, non hanno organizzazione, non hanno un leader. Li ha uniti il social network, sette dame della Torino industriosa hanno messo in rete il loro disagio e trovato una valanga di consensi. Un miracolo che può accadere solo quando il malcontento è così diffuso che basta un semplice grido per far dire a tutti : anch’io, anch’io.

Torino è la capitale dell’Italia industriale, quella della marcia dei 40 mila contro il sindacalismo improduttivo, egualitario e livellante. Allora vinsero i ceti produttivi e tutti coloro che credevano nel ruolo industriale del Paese. Nei cuori di molti torinesi è un ricordo che conta. Dopo la caduta della Fiat molti non si sono rassegnati al declino. Speravano che il nuovo sindaco pentastellato si rendesse vindice dell’ orgoglio ferito. Un segno di ripresa, una visione per il futuro. Ma la risposta è sempre stato un No. No all’olimpiade invernale, no alla Tav. Tutti ricordano ancora i vantaggi portati alla Torino dei primi anni duemila dalle olimpiadi invernali del 2006. Infrastrutture autostradali, metropolitana, notorietà mediatica, turismo, innovazione culturale insomma un rilancio che riqualificò la città del dopo Fiat.

Adesso Torino e l’ Italia produttiva aspettano un segnale per ripartire, per adeguarsi alle sfide dei nuovi processi industriali e delle nuove tecnologie. Insomma per far ripartire la crescita non dall’assistenzialismo ma dal lavoro. Si possono comprendere i dubbi 5 Stelle sulle grandi opere: fonte di corruzione. La cronaca quotidiana italiana dà loro ragione ma non giustifica l’immobilismo. Se si è al governo occorre proporre, avere progetti alternativi. La concussione e la corruzione la fanno da padroni? Bene, si trova un sistema che la riduca sensibilmente. Si coinvolgono i cittadini nel controllo sociale e nella proposta. Lo fanno in Francia e in parte anche in Germania. Unico vincolo: tutte le critiche sono bene accette se seguite da un progetto fattibile. Quando condivise, le grandi opere possono avere un basso impatto ambientale. E poi la ferrovia toglie traffico dalle strade e riduce intasamenti e inquinamento. È un sano pragmatismo che produce sviluppo, dà lavoro e prospettive nel tempo. Nel caso di Torino l’uscita da un isolamento storico. Finalmente essere posti a ovest non è più un limite ma un’opportunità. Lione è a portata di mano ed aiuta a non essere più Milano dipendenti.

Le ansie dei torinesi non sono state capite. Così come non lo sono quelle degli italiani. Molti cercano un posto di lavoro e non lo trovano. I sussidi non sono la soluzione. È l’ economia che crea posti di lavoro. Le grandi opere sono il volano della crescita. I 5 Stelle si attardano in posizioni ideologiche. Esprimono un disagio da società post industriale dove le macchine unite ai computer rendono superfluo il lavoro umano. Già pensano ad un reddito di cittadinanza alimentato dal plusvalore creato dai robot. Tutte cose di senso ma in una società ad alta innovazione tecnologica e produttività.

L’Italia nelle classifiche Wef (World Economic Forum) è al 44° posto. Davanti ha tutti i Paesi concorrenti e addirittura la Russia. Ma ha un grande sud, dove i disoccupati abbondano. Non ci sono robot ma in compenso tanti voti. Così siamo arrivati al dunque o ci si batte per la reindustrializzazione del Paese o si scivola verso il Mediterraneo nel sogno di una decrescita finanziata a debito.

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