Mattarella anticorpo
al virus xenofobia

Giovedì 6 febbraio il capo dello Stato Sergio Mattarella ha fatto da anticorpo al virus della potenziale xenofobia. Fuori dall’agenda ufficiale ha visitato a sorpresa l’istituto omnicomprensivo statale «Daniele Manin», una scuola di Roma del quartiere Esquilino, uno dei più multietnici della capitale e con un alto tasso di alunni cinesi. Un modo per far sentire la vicinanza degli italiani al popolo del Dragone e ai connazionali, grandi e piccoli, di origine cinese. Per chi rappresenta le istituzioni, non c’è niente di più semplice ed efficace di un gesto.

Accompagnato dalla figlia Laura, ha salutato i bambini di una classe delle elementari che stavano seguendo una lezione sull’amicizia e la pace. In un’aula ha preso un mappamondo in mano per commentare «I viaggi di Gulliver». All’uscita sventolio di fazzoletti tricolori e l’omaggio di un cartellone al presidente sul quale i bambini avevano scritto: «La scuola è di tutti».

Si dice che i poteri della presidenza della Repubblica siano a fisarmonica, se ne stanno buoni e silenti finché non insorge un’emergenza o una necessità. Mattarella ha capito subito che l’Italia rischiava di scivolare nell’intolleranza per via non tanto delle (giuste) misure prese contro i potenziali portatori del virus, ma del fatto che tali misure potevano essere male interpretate e scatenare un germe altrettanto veloce e pericoloso, quello della caccia all’untore giallo (in verità finora non esistente, a parte qualche caso sporadico). Probabilmente il presidente era preoccupato anche per le possibili ripercussioni sul piano economico. I cinesi, come è noto, si sentono soli in questi giorni terribili, il turismo è in rotta, gli esercizi commerciali in ginocchio, i ristoranti semivuoti. Ed è intervenuto, con tutto il carisma del suo stile. Un omaggio nei confronti della Chinatown che vive nella Capitale, ma anche verso tutta la nutrita comunità cinese presente da anni nel nostro Paese, in questi giorni di coronavirus.

Già domenica scorsa il Capo dello Stato aveva voluto inviare un messaggio di solidarietà al presidente cinese Xi Jinping e di disponibilità alla collaborazione per far fronte comune contro l’emergenza. In questi giorni si stanno moltiplicando gli episodi di psicosi da contagio. Per non parlare delle «China fake news» delle notizie false, per non dire idiozie sul virus, «l’infodemia» per dirla con un neologismo coniato ad hoc dall’Organizzazione mondiale della sanità. Allarmismi del tutto ingiustificati. Difficile non ricollegare la visita di Mattarella al discorso dei governatori leghisti di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Lombardia, che hanno chiesto che i minori di ritorno dal Paese asiatico fossero esclusi dalle scuole per un periodo «d’osservazione» di 14 giorni, anche «in risposta all’ansia dei genitori di bambini più piccoli». Anche se in effetti la richiesta si riferiva non ai cinesi, ma a chiunque tornasse dalla Cina. Non si trattava di una strumentalizzazione xenofoba o peggio razzista, ma il sospetto è che tale appello avvenisse sull’onda della credulità popolare più che dalle indicazioni del ministero della Salute.

Più delle parole, un gesto. Mattarella, il presidente «senza mascherina», così concreto contro tante mascherine della politica, non è certo intervenuto nel dibattito, ma con la sua visita ha ancora una volta dato preziosa lezione di «profilassi culturale» e di «inclusione batterica», ancor prima che ai piccoli studenti di una scuola romana, a famiglie e adulti di quest’Italia, anche a quelli più «in ansia», ansia da prevenzione, non medica, ma xenofoba, con possibili sfumature razziali.

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